Nel linguaggio della medicina, siamo abituati a pensare agli active ingredients come alle sostanze chimiche contenute nei farmaci, responsabili degli effetti terapeutici desiderati. Il paracetamolo, ad esempio, contiene l’acetaminofene come principio attivo: un composto capace di bloccare gli impulsi dolorosi e ridurre l’infiammazione.
Ma cosa succede se spostiamo questo concetto dal laboratorio biochimico all’esperienza umana? Se uscissimo dal regno dei farmaci per entrare in quello della cultura, del comportamento, della comunità?

Negli ultimi anni, la ricerca nel campo della salute pubblica ha iniziato a parlare di active ingredients anche per interventi non farmacologici: attività artistiche, programmi di salute mentale o iniziative sociali. In questo contesto, gli active ingredients sono gli elementi attivi delle attività – quelli che “fanno succedere qualcosa” nel corpo, nella mente e nella relazione.
Un laboratorio di teatro, ad esempio, può avere tra i suoi ingredienti attivi la narrazione di sé, il contatto con l’altro, l’espressione corporea. Questi elementi attivano meccanismi psicologici e sociali – come l’aumento dell’autoefficacia, la riduzione dell’isolamento o l’elaborazione emotiva – che a loro volta generano esiti: miglioramento della salute mentale, benessere fisico, qualità della vita.
In altre parole, ciò che accade dentro un’attività non è mai neutro. I colori che si mescolano su una tela, le parole condivise in un gruppo, la musica che risuona in una stanza – sono tutti active ingredients che innescano trasformazioni profonde, a volte silenziose, ma misurabili.
È importante riconoscere questi ingredienti, perché ci permettono di comprendere come e perché certe attività funzionano. Non basta sapere che “l’arte fa bene”: dobbiamo capire cosa dentro la cultura fa bene, e per chi. Questa consapevolezza non serve solo alla ricerca, ma anche alla progettazione di interventi più efficaci, più equi, più capaci di rispondere ai bisogni reali delle persone.
In fondo, anche una carezza, una storia o un gesto collettivo possono essere attivi quanto una pillola. Solo che, invece di agire su un recettore biochimico, parlano al cuore umano.
Carolina Zarrilli – dottoranda in Medical Humanities e scientific curator