
Abbiamo chiesto ad Aldo Gelso, medico oculista da anni attento anche alla dimensione psicologica della cura, di raccontarci il suo incontro con la Medicina Narrativa e come questo abbia arricchito la sua pratica clinica e la sua visione del rapporto medico-paziente.
Un’esperienza nata grazie al Progetto Dinamo, promosso da Bausch & Lomb e sviluppato in collaborazione con ISTUD Sanità e Salute, che rappresenta la prima ricerca italiana di Medicina Narrativa applicata a una patologia oftalmologica: la malattia dell’occhio secco.
Attraverso questo progetto, Gelso ha scoperto e approfondito una modalità nuova di approcciarsi al paziente: non solo come portatore di sintomi, ma come persona, con vissuti, relazioni e contesti che influenzano profondamente l’esperienza della malattia e della cura.
Nell’intervista che segue, ci racconta come si è evoluto il suo percorso, il valore che ha riconosciuto nella Medicina Narrativa, le reazioni dei colleghi, e l’impegno – tuttora attivo – per portare questi strumenti sempre più al centro della pratica clinica.
Ho conosciuto la Medicina Narrativa grazie alla multinazionale Bausch & Lomb, che mi ha proposto di partecipare al Progetto Dinamo. All’inizio ero molto scettico, non tanto per il concetto in sé, quanto perché non ne avevo compreso realmente la potenza. Poi, lavorando nel progetto e rendendomi conto di quanto l’aspetto psicologico entrasse a gamba tesa all’interno di questa nuova forma di espressione, mi sono fortemente appassionato. Tenendo presente che vengo da anni e anni di lavoro su me stesso, prima con la psicanalisi, poi con la psicoterapia.
Ho sempre sostenuto che la medicina occidentale si fosse troppo allontanata dall’aspetto psicologico, molto più presente nelle dottrine orientali o, comunque, in quelle antiche. Per questo motivo, durante il Progetto Dinamo, ho avuto vari incontri con i vertici di Bausch & Lomb perché, nell’ambito di un congresso che stavo organizzando a Napoli, ho voluto fortemente inserire una sessione dedicata alla Medicina Narrativa. In quell’occasione mi sono confrontato anche con la dottoressa Maria Giulia Marini, che mi ha trasmesso grande entusiasmo e mi ha chiarito altri aspetti che ancora non avevo percepito di quella che si può tranquillamente definire, ormai, una vera e propria branca della nostra medicina.
Una volta organizzato il congresso, con l’aiuto proprio della dottoressa Marini, abbiamo potuto per la prima volta sperimentare l’effetto di questo tipo di esperienza sui colleghi. La risposta è stata molto variegata: da persone fortemente entusiaste, a persone curiose che hanno fatto domande per cercare di capire, fino ad altre che hanno abbandonato l’aula perché l’argomento era troppo lontano dalle loro corde.
A mio avviso, questo riflette la propensione dell’essere umano verso l’approfondimento psicologico, motivo per cui, alla fine, il rapporto medico-paziente si è profondamente trasformato negli ultimi decenni. Oggi questo rapporto si basa semplicemente sulla capacità individuale di sviluppare empatia, o sulla singola propensione del medico all’accoglienza del paziente.
Una delle critiche sollevate durante quel congresso è stata l’impossibilità di dedicare tempo a questo aspetto. Ma non mi sono trovato per nulla d’accordo, perché ho sempre ritenuto che ogni paziente e ogni singola visita abbiano necessità diverse, e che ci siano momenti ben precisi in cui, per il progetto di cura, il paziente debba essere maggiormente ascoltato. Ovviamente ce ne saranno molti altri in cui questo non sarà necessario; pertanto, il tempo va perfettamente in compensazione.
Da quel momento ho cominciato a riflettere sulla possibilità di proporre finalmente questa nuova branca della medicina a un numero sempre maggiore di persone, specialmente ai giovani, affinché si comprenda quanto il rapporto medico-paziente sia importante, anzi fondamentale, nel percorso di cura.
Non è una strada semplice, a mio avviso, ma ci stiamo provando. Abbiamo già organizzato un evento con opinion leader a livello nazionale, grazie a un’altra azienda molto nota in Italia nel campo dell’oftalmologia: la Off Health. Con loro abbiamo realizzato un corso di due giorni a Firenze, in una cornice splendida, e in quell’occasione tutti i partecipanti si sono mostrati entusiasti.
Con Off Health cercheremo, nel tempo, di creare una massa critica per strutturarci e trasmettere messaggi e tecniche alla maggior parte dei nostri giovani oculisti. Parlo principalmente dei giovani perché saranno il futuro della medicina e della comunicazione, e costituiscono quindi l’impalcatura fondamentale per un cambiamento serio. Ma ovviamente cercheremo di rivolgerci anche agli adulti.
È un progetto ambizioso, nel quale credo fortemente e nel quale anche la dottoressa Marini sta infondendo il suo tipico entusiasmo.