LUCE SILENZIOSA, ASCOLTO CANDIDO

Maria Giulia Marini 

“Spesso i pazienti soffrono di cose ben diverse da quelle indicate sulla loro cartella clinica. Se si pensasse a questo, molte loro sofferenze potrebbero essere alleviate.” 
— Florence Nightingale


Florence Nightingal (AI-generated image)

Nelle cartelle cliniche si scrivono le malattie, non le vite delle persone. È una distinzione che ha conseguenze profonde. Quando si guarda solo la diagnosi, o il nome di una condizione, o i risultati dei test, si rischia di perdere tutto ciò che non è traducibile in dati: la storia personale, il contesto sociale, le emozioni, i desideri, i valori. Se la cartella clinica poggia su un impianto biomedicale, raccogliere le narrazioni significa comprendere corpo, mente e vissuto della persona. 
 
La medicina narrativa, anche se porta un nome che rimanda ai medici, riguarda tutti i professionisti della cura. In modo particolare coinvolge la professione infermieristica, che lavora nella continuità del rapporto con il paziente, attraversando tempi e fasi del percorso clinico spesso invisibili, ma cruciali. Non si tratta di vicinanza generica, ma di una presenza operativa: le infermiere e gli infermieri passano più tempo con i pazienti rispetto ai medici per struttura organizzativa del lavoro. In quel tempo, se gestito con consapevolezza professionale, può crearsi uno spazio di sicurezza. È lì che i pazienti parlano, pongono domande, si raccontano, si esprimono e si alleggeriscono. 
 
La qualità della cura parte da qui. Non solo dalla correttezza del dato clinico, ma dalla capacità di ascoltare. E l’ascolto attivo non è improvvisazione: è una competenza che nasce dall’empatia, una tecnica da apprendere, allenare e integrare nella pratica professionale. 
 
Nel presente, la professione infermieristica affronta pressioni crescenti, carichi di lavoro elevati, condizioni organizzative spesso rigide e, in alcuni casi, anche violenze fisiche e verbali da parte di pazienti o colleghi. Malgrado tutto, continua a esercitare un ruolo centrale nella qualità della cura, proprio perché riesce a unire competenze cliniche e capacità relazionale. La professione infermieristica non si limita a “stare vicino”: sostiene, osserva, comprende, restituendo alla pratica della cura una doppia dimensione, sia tecnica sia relazionale. 
 
Tutto questo non è nuovo. Florence Nightingale lo faceva già nella guerra di Crimea, tra il 1853 e il 1856. Nei reparti militari, dove mancava tutto — bende, farmaci, cibo, lenzuola — organizzava, interveniva, e ascoltava. Di notte attraversava i letti con una lanterna, per dare fiducia e per capire meglio. Così nasce la figura della “signora della lampada”: un nome che rende giustizia alla precisione del suo pensiero, alla concretezza del suo agire, alla lucidità con cui ha saputo connettere cura, organizzazione e relazione. Lei porta luce. 
 
Era una professionista che osservava e decideva, che raccoglieva storie, dati e segni. Che trattava i medici da pari, non per affermare sé stessa, ma per migliorare il sistema. Il suo lavoro stava tutto in quella capacità di tenere insieme la dimensione tecnica e quella relazionale, senza separarle mai. Ha riorganizzato gli ospedali vittoriani a Londra, li ha ripuliti, ha disposto i letti vicino alle finestre, ha curato l’alimentazione e l’igiene delle persone. 
 
Oggi, tornare a Nightingale significa ricordare che la cura non si esaurisce nei protocolli, né nella buona volontà individuale. Significa riconoscere che ascoltare è un atto professionale, e che nella professione infermieristica questa competenza ha radici profonde. Non è cambiato il bisogno di essere ascoltati. Cerchiamo di lasciare il dovuto spazio a un ascolto limpido, come le lenzuola candide e le bende che Florence voleva perfettamente bianche.

Maria Giulia Marini

Epidemiologa e counselor - Direttore Scientifico e dell'Innovazione dell'Area Sanità e Salute di Fondazione Istud. 30 anni di esperienza professionale nel settore Health Care. Studi classici e Art Therapist Coach, specialità in Farmacologia, laurea in Chimica e Tecnologie Farmaceutiche. Ha sviluppato i primi anni della sua carriera presso aziende multinazionali in contesti internazionali, ha lavorato nella ricerca medica e successivamente si è occupata di consulenza organizzativa e sociale e formazione nell’Health Care. Fa parte del Board della Società Italiana di Medicina Narrativa, Insegna all'Università La Sapienza a Roma, Medicina narrativa e insegna Medical Humanities in diverse università nazionali e internazionali. Ha messo a punto una metodologia innovativa e scientifica per effettuare la medicina narrativa. Nel 2016 è Revisore per la World Health Organization per i metodi narrativi nella Sanità Pubblica. E’ autore del volume “Narrative medicine: Bridging the gap between Evidence Based care and Medical Humanities” per Springer, di "The languages of care in narrative medicine" nel 2018 e di pubblicazioni internazionali sulla Medicina Narrativa. Ha pubblicato nel 2020 la voce Medicina Narrativa per l'Enciclopedia Treccani e la voce Empatia nel capitolo Neuroscienze per la Treccani. E' presidente dal 2020 di EUNAMES- European Narrative Medicine Society. E’ conferenziere in diversi contesti nazionali e internazionali accademici e istituzionali.

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