Speranza, Medicina Basata sulle Evidenze e Narrazioni dei pazienti

La speranza è definibile cosi in parole semplici: “Un desiderio che accadano cose buone”.

“Pensare, sentire che qualcosa di buono può accadere in poco tempo o in molto tempo”, bene, queste parole appartengono agli universali semantici e  rappresentano una possibile guida per destrutturare la speranza sino  ad un livello linguistico “atomico”. Gli psicologi definiscono questa emozione come appartenente a tutto il genere umano, sebbene sia molto correlata al contesto di vita: ad esempio genitori pessimisti corrodono la speranza e l’ottimismo dei loro bambini.

La speranza può presentarsi sia in casi positivi che negativi: nel primo caso, quando una persona gode di buona salute, desidera raggiungere qualcosa di più o di migliore per il futuro, come un bravo studente che ha lavorato duro per il suo esame, o nel secondo caso, quanto una persona con una particolare malattia o che vive in una situazione dolorosa, ad esempio senza un lavoro, in condizioni disagiate, desidera che gli accada qualcosa di buono o che farà le giuste scelte e azioni per superare la condizione attuale.

L’ottimismo è qualcosa più legata al pensiero razionale, al processo cognitivo che a un’emozione profondamente ispirata. Nella letteratura filosofica, si pensa che la speranza possa mediare gli eventi principali della vita, come la malattia e le relazioni umane fondamentali, mentre l’ottimismo dovrebbe mediare più la routine o i problemi minori. Forse gli individui più speranzosi, paragonati agli ottimisti, sono più capaci di gestire gli eventi della vita più seri, e sono meno suscettibili alla malattia.

Quando i pazienti sono gravemente malati, è evidente che la speranza può divenire uno strumento per un migliore coping – adattamento positivo – dell’attuale condizione di malattia, così come l’ottimismo, che è indicato da Carver come uno dei cinque fattori chiave del coping assieme alla disponibilità, all’apertura, alla responsabilità e alla consapevolezza. Mentre la responsabilità e la consapevolezza sono “virtù” che al giorno d’oggi hanno maggiore rilievo, la disponibilità, l’essere gentili con il prossimo, è stata approfondita solo di recente (Ballatt and Campling) e considerata come un valore da espandere. Così l’apertura come fattore di coping è solitamente concepito nelll’attitudine alla “quest” – la ricerca – che si verifica nella maggior parte dei generi di storytelling, basati sul Viaggio dell’Eroe, in questo caso il paziente, aperto a nuove avventure, più precisamente la malattia.

L’ottimismo può essere legato molto alla speranza dato che ha a che fare con un’emozione positiva, basata sulla “fiducia nel futuro”: come abbiamo considerato tuttavia, l’ottimismo è più legato a probabilità realistiche che possa accadere qualcosa di buono mentre la speranza non conta sulle probabilità, ma su di una fiducia incondizionata.

I clinici hanno una reazione piuttosto ambigua riguardo la possibilità di dare/ricevere speranza ai/dai pazienti: da un lato devono informare chiaramente le persone sulle loro condizioni, dicendo loro anche i tempi di sopravvivenza previsti, e questo in alcuni paesi è regolato dalla legge. Questo è stato un traguardo della “società civilizzata” che contiene il modello paternalistico del medico: una volta, infatti, il dottore spesso non comunicava al paziente la possibile verità, pertanto il paziente non poteva essere consapevole – e sappiamo che la consapevolezza è un fattore di coping – del suo status di salute. Oggigiorno la situazione è invertita e i medici tendono a dire tutto al paziente: possono portar via la speranza di una vita lunga, semplicemente dicendo che sono rimasti pochi mesi da vivere. I clinici basano le loro informazioni sulla Medicina Basata sulle Evidenze (EBM), la quale si confronta con stime di probabilità dedotte da studi clinici, e quindi, come per gli scienziati, fornisce informazioni basate su questi numeri. Comunque, in alcuni casi, veniamo a sapere con sorpresa dalle narrazioni dei pazienti – ecco perché serve la medicina narrativa, a scoprire l’ignoto – che i clinici in qualche modo si sorprendono a incontrare pazienti con cancro e metastasi che vivono più a lungo di quando ci s’aspettava. “Signore cosa ci fa ancora qua?” è una domanda che ci è riportata da un paziente in una narrazione con la quale una giovane dottoressa si è rivolta a un paziente che si era ripresentato all’ospedale. Questa persona, non le ha risposto, ma ha scritto a noi: “voleva vedermi sepolto, già nella tomba”. La sentenza pronunciata dal medico è stata vista come un’esecuzione capitale, una doccia fredda. Nelle sua narraziona, ha comunicato d’esser caduto in depressione, senza nessun residuo d’energia per combattere la malattia. Era stato spinto via, molto lontano dalla modalità di coping.

Sì, le parole possono essere veleno o medicina;   le parole di questa giovane donna medico hanno ucciso la speranza del paziente. In ogni caso, prima di condannare quest’azione, cerchiamo di considerare perché la dottoressa fosse così tanto sorpresa di vedere il suo paziente ancora in vita: lui era una stranezza (oddity) per la scala di probabilità della EBM, sui tempi di sopravvivenza. Era come il “Cigno Nero” di Thaleb, quell’effetto estremo causato da un certo tipo di eventi rari e imprevedibili, quell’eccezione a cui la tendenza umana cerca spiegazioni semplicistiche retrospettivamente per questi eventi, nelle modalità causa-effetto. Il termine cigno nero proviene da un’espressione latina: il riferimento più antico è del poeta Giovenale, “una brava persona è rara quanto un cigno nero” (“rara avis in terris nigroque simillima cygno”, 6.165). Si tratta di un’affermazione che descrive l’impossibilità che esistesse un cigno nero, derivante dalla presunzione del vecchio mondo la quale riteneva che “tutti i cigni dovessero essere bianchi”, perché tutti i dati storici dei cigni riportavano che questi avevano delle piume bianche. Nessuna speranza per un cigno nero, anche se ce ne sono in gran quantità, in special modo nell’emisfero australe. Tornando alla clinica, l’errore risiede nell’educazione professionale dei futuri clinici che considera l’EBM come un dogma, che fornisce verità innegabili, tutti i cigni sono bianchi, mentre l’EBM può fornire solo probabilità che non includono l’opacità del mondo reale.

Vi sono invece medici davvero preparati che sono in grado d’informare i pazienti riguardo le loro situazioni oggettive, che comunicano loro, senza mentire, le probabilità di una possibile guarigione appartenenti ai dati della popolazione: in ogni caso, sono anche in grado di dire che, la speranza è sempre lì, perché perfino l’indomani potrà essere scoperta una nuova tecnologia, o qualche altro “deus ex machina” potrà discendere dal cielo, con la soluzione adatta al problema reale.

La speranza è essenziale per le persone che stanno affrontando stress psicologico grave e prolungato; ad ogni modo la speranza non è una risorsa che si rinnova da sola di continuo, perché ha alti e bassi, e quindi va rafforzata dal sistema in cui i pazienti vivono. I familiari, i curanti sono tutti chiamati a fornire questo sentimento che ha il potere tremendo di gestire le incertezze, le stranezze, ed è provato che alimentare quest’emozione produca risultati di migliori di benessere. Così la medicina narrativa diventa uno strumento basilare per scoprire se la speranza, così come gli altri fattori di coping, è presente, e per costruire una relazione ricca di fiducia e positività tra i pazienti, i curanti e i familiari.

La Mayo Clinic ha pubblicato un paper intitolato “Pensando positivo: ferma l’auto-conversazione negativa per ridurre lo stress”. I ricercatori stanno continuando a esplorare gli effetti del pensiero positivo e dell’ottimismo sulla salute. I benefici che il pensiero positivo può portare includono, a detta della Mayo Clinic: una vita più lunga, tassi di depressione e di stress più bassi, miglior benessere psicologico e fisico, miglior salute cardiovascolare e un rischio ridotto di morte per malattie cardiovascolari, migliori abilità di coping durante le avversità e i tempi di stress.

Dietro questi risultati, esiste questa teoria: avere un atteggiamento positivo aiuta ad affrontare meglio situazioni ricche di stress, così da ridurre i pericolosi effetti dello stress sulla salute del proprio corpo. Si ritiene inoltre che le persone positive e ottimiste tendano ad avere stili di vita più salutari – fanno più attività fisica, seguono una dieta più salutare, e non fumano o bevono alcool in maniera eccessiva, così producono più endorfine e sono più felici. Questi dati sono recenti e provengono dalla Mayo Clinic, uno dei entri più affidabili per l’EBM: in questa clinica infatti studiano l’efficacia del pensiero positivo (incluso l’ottimismo e la speranza) proprio in un’ottica EBM.

Per concludere con una stranezza, procedendo per analogie, ho pescato dalla mia memoria uno delle mie canzoni preferite sulla speranza. Que Sera Sera, cantata da Doris Day nel famoso film di Hitchcock, “The man who knew too much”, “Luomo che sapeva troppo”

 

Ecco il testo di Que Sera Sera, Whatever will be, will be…;

Quand’ero soltanto una bambina piccola,
chiesi a mia madre, Come sarò?
Sarò bella? Sarò ricca?
Ecco quello che mi rispose:

Que sera sera
Quel che sarà, sarà;
non ci è concesso conoscere il futuro
Que sera sera,
Quel che sarà sarà

Quando diventai grande e mi innamorai,
chiesi al mio amore, cosa verrà dopo?
Avremo arcobaleni giorno dopo giorno?
Ecco quello che il mio amore rispose:

Que sera sera
Quel che sarà, sarà;
non ci è concesso conoscere il futuro
Que sera sera,
Quel che sarà sarà

Ora ho dei bambini miei
Chiedono alla loro madre, Come sarò?
Sarò bello? Sarò ricco?
Io dico loro teneramente

Que sera sera
Quel che sarà, sarà;
non ci è concesso conoscere il futuro
Que sera sera,
Quel che sarà sarà

*

When I was just a little girl
I asked my mother
What will I be
Will I be pretty
Will I be rich
Here’s what she said to me

Que sera, sera
Whatever will be, will be
The future’s not ours to see
Que sera, sera
What will be, will be

When I grew up and fell in love
I asked my sweetheart
What lies ahead
Will we have rainbows
Day after day
Here’s what my sweetheart said

Que sera, sera
Whatever will be, will be
The future’s not ours to see
Que sera, sera
What will be, will be

Now I have Children of my own
They ask their mother
What will I be
Will I be handsome
Will I be rich
I tell them tenderly

Que sera, sera
Whatever will be, will be
The future’s not ours to see
Que sera, sera
What will be, will be
Que Sera, Sera

L’attitudine positiva è insegnata al bambino, e trasferita dai genitori come in Que Sera, Sera.

Maria Giulia Marini

Epidemiologa e counselor - Direttore Scientifico e dell'Innovazione dell'Area Sanità e Salute di Fondazione Istud. 30 anni di esperienza professionale nel settore Health Care. Studi classici e Art Therapist Coach, specialità in Farmacologia, laurea in Chimica e Tecnologie Farmaceutiche. Ha sviluppato i primi anni della sua carriera presso aziende multinazionali in contesti internazionali, ha lavorato nella ricerca medica e successivamente si è occupata di consulenza organizzativa e sociale e formazione nell’Health Care. Fa parte del Board della Società Italiana di Medicina Narrativa, Insegna all'Università La Sapienza a Roma, Medicina narrativa e insegna Medical Humanities in diverse università nazionali e internazionali. Ha messo a punto una metodologia innovativa e scientifica per effettuare la medicina narrativa. Nel 2016 è Revisore per la World Health Organization per i metodi narrativi nella Sanità Pubblica. E’ autore del volume “Narrative medicine: Bridging the gap between Evidence Based care and Medical Humanities” per Springer, di "The languages of care in narrative medicine" nel 2018 e di pubblicazioni internazionali sulla Medicina Narrativa. Ha pubblicato nel 2020 la voce Medicina Narrativa per l'Enciclopedia Treccani e la voce Empatia nel capitolo Neuroscienze per la Treccani. E' presidente dal 2020 di EUNAMES- European Narrative Medicine Society. E’ conferenziere in diversi contesti nazionali e internazionali accademici e istituzionali.

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