Riflessioni sul Master di Medicina Narrativa di Fondazione ISTUD

di Valerio Miselli
partecipante alla III edizione del Master in Medicina Narrativa Applicata

Tra i tanti usi possibili per la Medicina Narrativa, John Launer ci ha insegnato, all’interno del Master di Medicina Narrativa ISTUD, una pratica per riflettere sul nostro lavoro, sulle motivazioni intrinseche, sul senso di appartenenza, sulla progettualità, sul significato del lavorare insieme.

Nel nostro Paese si usa spesso la frase “lavorare in team” con significati molto diversi dal suo senso originale. Mandare pazienti da un professionista all’altro, scambiare opinioni, mantenere una organizzazione del lavoro di tipo piramidale, non vuol dire lavorare in team. Nel loro percorso formativo, i medici non imparano quasi mai il vero significato della parola teamwork, e spesso la scambiano con il significato di prestazione condivisa – cioè quando hanno bisogno di altre professionalità per portare a termine un lavoro.

Il sentire comune, la condivisione tra pari, il fare emergere il significato pieno di una professionalità diversa da quella tipicamente medica, il ricercare momenti comuni di scambio di esperienze e – perché no – di storie, sono tutti passaggi che portano al lavoro in team. Una Supervisione Narrativa comporta una disciplina che non viene insegnata nelle università dove si impara a diventare medico, comporta regole che trovano la loro applicazione nel lavoro in piccoli gruppi –altro anello mancante nel percorso di formazione del medico.

In questo schieramento verticistico e piramidale per la conquista del potere, anche le altre professioni (infermieri, dietisti, tecnici, psicologi), invece che favorire una condivisione e una ricerca del teamwork, hanno cercato in qualche modo di imitare la formazione medica creando tanti piccoli “territori di potere” nella ricerca di un identità spesso contrapposta a quella del medico. In questo nostro Paese ci sono molte responsabilità e certamente i medici ne hanno una molto grande nel non avere favorito la ricerca di territori comuni: la ricerca di ponti comporta un iniziale rischio di perdita di potere ma, una volta fatto il percorso, si guadagna la bellezza del lavorare insieme, della condivisione di storie di pazienti alla ricerca di soluzioni che, almeno sicuramente nel campo delle malattie croniche, non possono che essere multidisciplinari e pluriprofessionali.medicina_narrativa_4edizione

Il “sentire narrativo” non è una pratica per dire a qualcuno cosa fare, ma è una disciplina che parte dall’ascolto, che non cerca facili soluzioni, che si assume rischi, che agisce con prudenza in un contesto difficile ma che ha la buona cura come obiettivo. Il “sentire narrativo” comporta un cambiamento dei processi organizzativi e il desiderio di riorganizzare il lavoro tenendo certamente conto della casistica, del contesto e delle necessità di carriera che possono illuminare le varie professionalità coinvolte. Per esempio, inserire nella giornata lavorativa che si svolge nel contesto di un affollato ambulatorio specialistico una pausa di riflessione organizzata che coinvolge tutte le figure professionali per discutere di un problema organizzativo o della storia di un paziente, viene vista come un inutile appendice, quasi un diversivo e non come una componente fondamentale del processo lavorativo per affrontare meglio la moltitudine di bisogni (che non verranno mai risolti, se ogni professionista lavora in modo slegato). Come altro esempio, vorrei menzionare la soverchiante mole di lavoro che si presenta certi giorni in un affollato ambulatorio al singolo professionista che, non trovando una organizzazione adeguata, né il conforto del confronto con altre figure professionali coinvolte, rischia di andare incontro a un burn-out irreversibile.

La professionalità, la motivazione, la curiosità, il senso del dovere, sono i valori più preziosi che devono essere preservati in un contesto di professionisti che operano nel campo della salute: se un’organizzazione sanitaria non riesce a preservarli, perde tutto questo, giorno dopo giorno, in modo spesso purtroppo irreversibile e nessun “budget sanitario” riesce a valutare questo tipo di fallimento. Non è detto che l’uso della Medicina Narrativa riesca ad impedire il disastro della perdita di professionalità, ma il solo fatto che esistano esempi e lavori di ricerca che dimostrano che l’utilizzo di tecniche di Medicina Narrativa possono portare a un miglioramento del rapporto medico paziente e medico con altri operatori sanitari dovrebbe essere sufficiente per inserire la Medicina Narrativa nel percorso formativo dei medici, come già avviene in altri paesi (come gli Stati Uniti).

John launerJohn Launer ci ha fatto riflettere sulla differenza tra “parlare di casi e di pazienti” – tipica metodologia che porta a comportamenti basati sulla aneddotica che non hanno niente a che vedere con l’equità e la ricerca delle evidenze – e la comunicazione “narrativa” tra professionisti, che migliora automaticamente anche il rapporto medico-paziente, modificando la qualità dei rapporti attraverso piccoli cambiamenti, una persona alla volta, utilizzando la cosiddetta “supervisione” tra professionisti. Un modo nuovo di porsi di fonte al naturale fluire delle storie di pazienti, generate in ogni organizzazione sanitaria o anche in semplici conversazioni informali tra professionisti. Un modo per “muovere le Storie” e progredire nella continua ricerca del modo migliore per garantire cure, assistenza e supporto alle persone che cercano aiuto perché travolti dalla malattia che ha spezzato la loro storia di vita.

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