Recensione a “Raccontare Per Capire”, scritto da Andrea Smorti Edito da Il Mulino- Saggi

“Raccontare per capire” è l’ultima opera di Andrea Smorti, insegnante di Psicologia dello sviluppo dell’infanzia, dell’adolescenza e dell’età adulta del Dipartimento di Scienze della Formazione e Psicologia dell’Università di Firenze. Il libro analizza l’importanza della narrazione come strumento di comprensione della propria vita e delle vite degli altri.  Molto interessante è il dialogo scritto se l’autobiografia sia un atto completamente dettato dalla memoria e quindi da eventi passati chiusi, più o meno episodici o generalizzabili che servono dare un significato agli eventi accaduti in termini di relazione causa effetto o se invece l’autobiografia non sia un processo costruttivo di attese anticipazioni, in cui la memoria, in questo secondo scenario, non è fine a se stessa ma porta in sé le aspettative progettuali del presente.

Di fatto è vero che l’autobiografia è rivolta principalmente al passato, se guardasse al futuro sarebbe un luogo non di fatti veri ma di opzioni possibili e quindi diventerebbe uno scritto di fantasia. In medicina narrativa noi conosciamo l’importanza del passato, in particolare quello remoto, ill tempo che si è svolto prima che accadesse la malattia, prima che si rompesse l’equilibrio dello stato di salute. Le persone oggi malate descrivono quel tempo come una specie di Età dell’Oro, forse anche con una loro distorsione della memoria: la vita era sempre bella, socievole, intensa. Poi nel passato prossimo è accaduto che è arrivata la malattia a cambiare le regole del gioco limitando il loro spazio di azione e confinando le persone in zone sempre più limitate, con un maggiore isolamento, costringendole a rinunce e a cure efficaci ma invasive. Poi c’è il presente di cui le persone malate scrivono un poco, forse troppo poco, ancora ripiegate su quei due passati, quello remoto “felice”, una specie di paradiso perduto e quello prossimo, “infelice”, dove c’è stato il trauma del cambiamento. L’autobiografia se non guidata in qualche modo porta al passato che non permette talvolta l’evoluzione della persona. Si pensa che la narrazione scritta possa dare un significato a tutto ma quale senso si può dare all’ingiustizia di una leucemia che colpisce un ragazzo? Quale relazione causa effetto ci può dare l’autobiografia?  Meglio pensare a capire quale possa essere lo stile nuovo di vita da adottare in una situazione fortemente modificata, nel presente e nel futuro.

Interessante il lavoro di Pennebaker, riportato da Smorti, con gli studenti colpiti da trauma dovevano scrivere in maniera ripetuta la propria esperienza, dato solo lo stimolo del ricordo dell’evento: “I risultati furono sorprendenti. I racconti Si differenziavano molto nei vari incontri in termini qualitativi: se le prime narrazioni erano disorganizzate e ricche di Termini riferiti a emozioni negative, con la ripetizione queste coerenza struttura più ordinata lasciando spazio a emozioni positive. E si verificava una diminuzione drastica delle visite mediche nei mesi successivi all’intervento.” Questo esempio ci fa capire di come la riflessione abbia bisogno di argini e di ripetizione perché possa uscire dal caos disorganizzato.  Smorti cita Italo Svevo e la sua Coscienza di Zeno:noi sappiamo che questo è una autobiografia in cui fin dall’inizio il protagonista Zeno Cosini, su consiglio del Dottor S,  attraverso la psicoanalisi e un diario autobiografico, vuole mettere di fumare. Non ce la farà. La psicanalisi nei meandri dei suoi eventi che gli accadono, anche in modo fortunato, per cui il libero arbitrio progettuale di Cosini si annulla sempre di più nell’azione di volontà, e rimane invischiato nel suo mantra ripetitivo e anemico “dell’ultima sigaretta”, che non sarà affatto l’ultima ma la prima di tante altre.

Credo che sia più utile la seconda versione dell’autobiografia di cui ci parla Smorti, quella dove la memoria lascia il posto alle attese e alle anticipazioni. Ho letto tante narrazioni autobiografiche, completamente libere che erano degli sfoghi privi di un qualsiasi spiraglio volto al futuro. Mi piace l’idea di prendere lo stesso episodio e di riscriverlo più volte, così da lavarlo dalle emozioni  tossiche e far sì che con la quiete, la riflessione prenda il sopravvento e apra alla progettualità.

Raccontare per capire è un saggio molto colto, erudito, ci parla della genesi della diaristica, per passare alle confessioni di Sant’Agostino e arrivare all’autobiografia dei social. Qui l’autore descrive con accurata lungimiranza quello che i social stanno facendo nostre vite: “i testi che leggiamo da internet sono frammentati e pongono al lettore la necessità di interrompersi continuamente per farsi lettura ascolto e visione” Anche il copia e incolla così ricorrente nella nostra società non permette una rielaborazione di testo, ma solo la costruzione di ponti tra i pensieri e i fatti scritti da altre persone.  Scrive: “Il valore del mi piace su Facebook è sufficiente per stabilire il valore di un testo.”  Penso riflettendo sulle attitudini della nostra società post contemporanea, alle brevi frasi buttate giù frettolosamente, senza riflessione, principalmente basandosi sul criterio narcisistico di riconoscimento.

E quindi l’autobiografia e il raccontarsi sono strumenti utilissimi per capirsi a patto che siano da un lato guidati verso il futuro e non solo intrisi del sapore del passato come la Madeleine di Proust, quel dolcetto burroso a forma di conchiglia, nella sua immensa Ricerca del Tempo Perduto, una trappola da cui non si esce, e dall’altro non eccessivamente frammentati come nello spazio di 280 caratteri di Twitter (aumentati da 200 a 280), delle poche righe che compaiono Facebook.

Oltre a tutto questo dentro il libro vi sono due capitoli utilissimi sul linguaggio: un primo che attraversa  la storia dell’umanità, partendo dal linguaggio gestuale, al linguaggio parlato arrivare alla lingua scritta e spiegandone le differenze e le conseguenze e il secondo che descrive come  invece funziona il cervello con i suoi  emisferi, quello della creatività e delle emozioni e quello del pensiero logico razionale, e di come avviene la memorizzazione.. Insomma è un manuale utilissimo nel mondo della comunicazione e della ermeneutica, ovvero quel mondo che si occupa di interpretazione dei testi.

Per la medicina narrativa partirei  da un’ autobiografia che non sia un selfie narcisistico ma che il punto di partenza per capire, laddove si può capire,  come dalla situazione attuale si possa influire sul futuro  nostro , dei propri cari e delle persone che non ci conoscono ancora.

Maria Giulia Marini

Epidemiologa e counselor - Direttore Scientifico e dell'Innovazione dell'Area Sanità e Salute di Fondazione Istud. 30 anni di esperienza professionale nel settore Health Care. Studi classici e Art Therapist Coach, specialità in Farmacologia, laurea in Chimica e Tecnologie Farmaceutiche. Ha sviluppato i primi anni della sua carriera presso aziende multinazionali in contesti internazionali, ha lavorato nella ricerca medica e successivamente si è occupata di consulenza organizzativa e sociale e formazione nell’Health Care. Fa parte del Board della Società Italiana di Medicina Narrativa, Insegna all'Università La Sapienza a Roma, Medicina narrativa e insegna Medical Humanities in diverse università nazionali e internazionali. Ha messo a punto una metodologia innovativa e scientifica per effettuare la medicina narrativa. Nel 2016 è Revisore per la World Health Organization per i metodi narrativi nella Sanità Pubblica. E’ autore del volume “Narrative medicine: Bridging the gap between Evidence Based care and Medical Humanities” per Springer, di "The languages of care in narrative medicine" nel 2018 e di pubblicazioni internazionali sulla Medicina Narrativa. Ha pubblicato nel 2020 la voce Medicina Narrativa per l'Enciclopedia Treccani e la voce Empatia nel capitolo Neuroscienze per la Treccani. E' presidente dal 2020 di EUNAMES- European Narrative Medicine Society. E’ conferenziere in diversi contesti nazionali e internazionali accademici e istituzionali.

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