Medicina narrativa e metalinguaggio semantico naturale: un dialogo in crescita

La medicina narrativa ha il compito di rimuovere il “rumore” nella comunicazione sanitaria, al fine di comprendere i reali sentimenti, i pensieri, e i desideri dei pazienti. Cos’è questo rumore? Ѐ legato alla tecnologia. Il fare affidamento sulla tecnologia – anche se può indubbiamente essere un beneficio (se utilizzata appropriatamente ed efficacemente) – può diventare un automatismo pavloviano quando i provider sanitari non sono in grado di parlare e di ascoltare efficacemente i pazienti. Nella valutazione del linguaggio utilizzato nel corso delle visite, assistiamo all’uso di un gergo tecnico, come conseguenza di scienza e tecnologia. Questo gergo è collegato al concetto di Kleinmann di Malattia, come modello biomedico: quando qualcosa è rotto, qualcosa non va nel/all’interno del corpo, e il corpo è un oggetto per il guaritore, e questo qualcosa di rotto andrebbe riparato, aggiustato attraverso la normalità. Entrare nel mondo della normalità significa accettare che in biologia, le leggi organiche sovrastano gli esseri umani. In ogni caso, le ricerche più recenti sono in grado di mostrare che questa “normalità” non è così ristretta, ma vi sono molte possibilità di adattamento, attraverso la genetica e l’epigenetica, e questo è chiamato concetto di biodiversità.

Dal punto di vista dei pazienti, d’altro canto, “riparare una parte rotta” è semplicemente non abbastanza. I pazienti sono esseri umani con sentimenti profondi, le cui azioni sono spesso dettate da questi sentimenti. I medici e gli infermieri devono imparare che, parallelamente alla “malattia” in corso o alla condizione, dovranno essere in grado di gestire e in qualche modo di dominare emozioni come la paura, la tristezza, la rabbia, il disgusto, in modo tale da muoversi da questi sentimenti “negativi” verso un mondo di speranza, serenità e pace.

Una via per fare tutto ciò – forse l’unica- è quella di contare su di un linguaggio relativamente semplice rispetto ad un gergo; questo può essere la chiave per raffreddare le emozioni e stabilire una relazione utile di cura. In ogni caso, come regola generale, durante l’addestramento, giovani studenti di medicina, o d’infermieristica o di scienze o di psicologia, imparano una serie di definizioni di malattia, molto tecniche, raramente eloquenti, e spesso molto lontane dalla verità, essendo questo, forse, il più pericoloso effetto collaterale.

Mi chiedevo quali potessero essere i benefici sui pazienti e sui medici di un linguaggio più intellegibile e realistico, al posto del gergo. In questo senso, l’incontro con Anna Wierzbicka, professore di linguistica e fondatrice (assieme a Cliff Goddard) dell’approccio al Metalinguaggio Semantico Naturale (NSM), è stato rivelatore per me.

Il NSM si basa sulla prova empirica che ci sono sessantacinque concetti semplici (le “primarie” o atomi di significato) che possono essere espressi in tutti i linguaggi del mondo. Usando parole inglese (dato che lo studio è scritto in questa lingua) pronunciamo rapidamente alcuni di questi atomi semantici che sono presenti in tutto il globo: before, now, moment, after, feel, think, say, do, know, happen, hear, see, touch, want, don’t want, good, bad, things, body, you, I, people, mine, someone, kind, can, maybe, if, in, inside. To live and to die. Personalmente trovo che il fatto che queste parole siano vive in tutti i linguaggi parlati mi dia un senso d’appartenenza, non meramente ad un gruppo di persone, ma all’intera razza umana, al genere umano; allo stesso tempo mi dona un senso di spiritualità politica, grazie al quale diventando in qualche modo cittadina del mondo.

Come tutto questo rientra nella medicina narrativa? Come essere umani siamo soggetti alle leggi biologiche di vita e di morte: cominciamo da piccoli, diventiamo grandi (cresciamo), viviamo e comunichiamo (diciamo cose ad altre persone), invecchiamo e ci ammaliamo, infine moriamo. Nessuno sfugge alla malattia. Nessuno sfugge alla morte. Tutte le persone possono esperire cose buone e cose cattive. La gente non vuole che gli capitino cose cattive, solamente cose buone. Così la decostruzione del linguaggio, che ci riporta indietro al Metalinguaggio Semantico Naturale, non è semplicemente un giocare con il linguaggio, ma un relazionarsi direttamente con la cura e la vita quotidiana.

Una delle sfide quando si raccolgono narrazioni di malattia sta nello scegliere lo strumento adatto per l’intervista orale o scritta. Possiamo optare per una sollecitazione di un flusso libero delle storie senza guidare il narratore in nessun modo, oppure possiamo fornirgli una serie guidata di suggerimenti, che spieghino diacronicamente l’”ammalarsi”, l’”essere ammalati”, fino alle “aspettative future”. Alla Fondazione ISTUD, usiamo entrambi i metodi: narrazioni senza costrizioni che permettono a ciascun paziente di raccontare la propria storia in totale libertà, ma anche una traccia guidata. Quest’ultimo lo usiamo perché siamo impegnati nella ricerca di un processo effettivo che spieghi dall’inizio alla fine, senza omettere niente d’importante, come una persona affronti i cambiamenti che affliggono corpo o mente (o entrambi), come questa persona percepisca il trattamento o le cure sin dai primi momenti, come la sua vita cambi a tutti i livelli, tenendo conto le persone che gli sono vicino, a casa, al lavoro o quando coinvolti in attività sociali. Il problema qui sta nel collezionare narrazioni usando parole il più possibile comprensibili, non solamente attraverso lingue differenti, ma anche attraverso individui che parlando la medesima lingua, per evitare errori di “suggerimenti chiusi” e d’“incomprensioni”. Questo è il motivo per cui abbiamo sviluppato un programma di ricerca collaborativo che coinvolge l’Australian National University e Fondazione ISTUD; punta a stabilire un dialogo tra la Medicina Narrativa e l’approccio al Metalinguaggio Semantico Naturale, così da trovare una nuova via per ascoltare i pensieri dei pazienti, i loro sentimenti, e le loro azioni quando hanno a che fare con la “malattia”, o in altre parole, usando le unità primarie del NSM: “the cose brutte che non vogliamo accadano dentro il corpo”. Una storia di malattia è stata realizzata usando soprattutto il NSM – le parole universali – e alcune parole del cosiddetto Minimal English – parole semi-universali come doctor, home, work, e parole scientifiche come specialist, nurse, che, come risultato della globalizzazione, sono adesso presumibilmente comprese maniera simile da tutte le nazioni del mondo.

Guardando indietro all’uso corrente della NSM nella raccolta di narrazione dei pazienti, possiamo vedere altre affascinanti e utili applicazioni del metalinguaggio. Una di queste è legata alla definizione di malattia data dal punto di vista di un paziente rispetto a quella dal punto di vista di un dottore. Recentemente guardando alle definizioni date di malattie particolari, ad esempio in documenti come il DSM-5, la “bibbia” degli psichiatri legata alla definizione di disturbi mentali come la depressione o l’ansia. In un recente workshop di NSM tenutosi a Canberra, Australia, il 17 e 18 marzo, la prof.ssa Wierzbicka ha mostrato alcune delle sue idee riguardo i criteri usati nel DSM-5 per diagnosticare la depressione. Uno di questi è “sentimenti d’impotenza o eccessiva o inappropriata colpa (che può essere delirante) praticamente ogni giorno”. La Wierzbicka ha sottolineato che nessun paziente, nemmeno nel paese più tecnologico e tecnocratico, direbbe mai un’affermazione del genere. Sono completamente d’accordo con lei. Il modo migliore di parlare ad una persona depressa non è chiedendogli domande come: “Ti senti inutile?”. Domande del genere mancano il punto, dato che si legano ad una percezione esterna di “sickness” e non sono in grado d’indirizzare verso ciò che c’è all’interno del paziente. Una domanda preferibile potrebbe essere: “Come ti senti?”. Questa domanda potrebbe essere l’inizio di una reale conversazione riguardante la depressione, basata sulle risposte individuali del paziente. Anche se alcuni pazienti – quelli che soffrono di una condizione medica chiamata alexithymia, dove non vi è alcuna possibile percezione interiore – potrebbero rispondere “Non provo nulla”, può comunque cominciare una conversazione. La domanda “Ti senti inutile?”, d’altro canto, è praticamente letteralmente un inibitore comunicativo.

Associare la depressione con sentimenti d’impotenza è come prenderla come qualcosa che non è legato ad un dolore personale e profondo. L’enfasi scivola via dal reame interiore del paziente, al posto d’essere una malattia, la depressione si trasforma in un “evento sociale”, un “sickness”, una percezione imposta dall’esterno. In altre parole, il DSM-5 fornisce una definizione che non si concentra sulla natura della malattia, ma che predilige eccessivamente una prospettiva sociale, vale a dire di una società esigente dove tutto ciò che conta è essere produttivi, essere dei vincenti. Questo è l’approccio “sickness” di Kleinmann: qualcuno che è un perdente, non in grado di fare niente di buono, indegno di appartenere alla società di chi ha successo, è “etichettato” come depresso. Ѐ sorprendente realizzare che il DSM-5 fornisca una definizione “sickness” di depressione, uno dei disturbi mentali più comuni, e che relazioni la depressione al fallimento sociale, alla colpa, al giudizio morale passato da altri e imposto sul paziente, mentre quello che dovrebbe fare sarebbe descrivere ciò che c’è all’interno del paziente. Qui è dove il NSM può fornire buone influenze. Usando il NSM, la Wierzbicka ci dice il genere di parole che un paziente depresso utilizza di solito: “Non posso fare niente, non posso fare niente di buono”. E quando la depressione diventa davvero grave: “Non voglio più vivere”.

Questo è solamente un esempio di come il NSM possa essere usando nel miglioramento delle formulazioni psichiatriche del DSM-5, rimpiazzandole con formulazioni più accurate e realistiche certamente in grado di creare migliori canali di comunicazione tra curanti e pazienti. Consideriamo un altro esempio: la definizione di pensiero intrusivo, che è alla base del Disordine Ossessivo Compulsivo (OCD). Il pensiero intrusivo è basato su “ricordi indesiderati” (spesso legati ad un trauma), su “pensieri violenti” (quando qualcuno immagina fare cose violente/aggressive), e sui “pensieri sessuali”. Attraverso le narrazioni siamo in grado di raccoglierli da diversi pazienti, d’identificare i pensieri intrusivi che possono essere molto diversi dall’alto. Personalmente, ritengo che la lista DSM-5 dei pensieri intrusivi sia piuttosto breve. Pensieri indesiderati possono nascere dalle paure di un futuro incerto – ansia -, il giudizio morale di sé stessi e degli altri, la paura della povertà, la paura di una malattia senza alcun trauma sottostante, mancanza di fiducia nella società, e molte, molte altre possibilità, tutte riassumibili in NSM attraverso l’affermazione: “Io non voglio pensare riguardo un certo genere di cose, quando penso a questo genere di cose, mi sento male in qualche modo”. Così per la stessa parola molto usata ansia, dalla prospettiva di un paziente, usando una prospettiva in prima persona, potrebbe essere parafrasata come segue: “Non so cosa mi accadrà dopo questo; possono accadermi cose molto brutte; io non voglio questo”. Prendendo la semplicità e l’universalità del NSM seriamente, un dottore può evitare di cadere nella trappola di domandare ad un paziente: “Hai dei ricordi indesiderati? Qualche pensiero violento? Qualche pensiero sessuale?”. Vi sono miriadi di pensieri indesiderati nelle differenti culture del mondo, mentre i pensieri intrusivi che sono il focus del DSM-5 si riferiscono soprattutto a possibili valori sociali indesiderati, ancora una volta concentrati sulla “sickness” – violenza e sesso – senza esplorare le migliaia di altri pensieri indesiderati nel cervello delle persone che sono alla base di una malattia.

Ricapitolando, il NSM è un autorevole strumento che ci permette di comprendere noi stessi e gli altri usando le parole quotidiane che contano realmente. Questo è vero nel settore sanitario così come in ogni altro luogo. In ogni caso, true è anche uno degli atomi semantici per i quali vi è una parola in ogni lingua.

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Medicina Narrativa e Metalinguaggio Semantico Naturale. La lezione di Canberra all’Australian National University, Maria Giulia Marini

 

Note

[1] Arthur Kleinmann, The Illness Narratives: Suffering, Healing, and the Human Condition, New York, Basic Books, 1988.

[2] Griffith

[3] See Minimal English for a Global World: Improved Communication Using Fewer Words (Cliff Goddard, ed.), New York, Palgrave Macmillan (in press) – and in particular chapter 11, by Bert Peeters and Maria Giulia Marini, “Narrative Medicine Across Languages and Cultures: Using Minimal English for Increased Comparability of Patients’ Narratives”.

[4] Psychiatry

[5] Ocdaction

[6] A particular acknowledgment to Prof. Bert Peeters, who kindly reviewed this article.

Maria Giulia Marini

Epidemiologa e counselor - Direttore Scientifico e dell'Innovazione dell'Area Sanità e Salute di Fondazione Istud. 30 anni di esperienza professionale nel settore Health Care. Studi classici e Art Therapist Coach, specialità in Farmacologia, laurea in Chimica e Tecnologie Farmaceutiche. Ha sviluppato i primi anni della sua carriera presso aziende multinazionali in contesti internazionali, ha lavorato nella ricerca medica e successivamente si è occupata di consulenza organizzativa e sociale e formazione nell’Health Care. Fa parte del Board della Società Italiana di Medicina Narrativa, Insegna all'Università La Sapienza a Roma, Medicina narrativa e insegna Medical Humanities in diverse università nazionali e internazionali. Ha messo a punto una metodologia innovativa e scientifica per effettuare la medicina narrativa. Nel 2016 è Revisore per la World Health Organization per i metodi narrativi nella Sanità Pubblica. E’ autore del volume “Narrative medicine: Bridging the gap between Evidence Based care and Medical Humanities” per Springer, di "The languages of care in narrative medicine" nel 2018 e di pubblicazioni internazionali sulla Medicina Narrativa. Ha pubblicato nel 2020 la voce Medicina Narrativa per l'Enciclopedia Treccani e la voce Empatia nel capitolo Neuroscienze per la Treccani. E' presidente dal 2020 di EUNAMES- European Narrative Medicine Society. E’ conferenziere in diversi contesti nazionali e internazionali accademici e istituzionali.

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