“Io e le cure palliative”: le narrazioni autobiografiche di una équipe infermieristica in un reparto di cure palliative pediatriche

Valdimir Kush - Haven
Valdimir Kush – Haven

Ospitiamo il project work di Loredana Celentano, Medico Anestesista Rianimatore, partecipante alla IV edizione del Master in Medicina Narrativa Applicata.

Le cure palliative pediatriche

L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce le Cure Palliative Pediatriche come l’attiva presa in carico globale di corpo mente e spirito del bambino affetto da malattia incurabile, e comprende il supporto attivo alla famiglia, con l’obiettivo di migliorare la qualità di vita del piccolo paziente e della sua famiglia nel loro domicilio, che rappresenta il luogo ideale di assistenza e cura.

Eppure, attualmente in Italia questo tipo di assistenza è in gran parte erogata, anche impropriamente, in regime di ricovero ospedaliero, talvolta perfino in reparti di cure intensive.

Più che in altre situazioni, in questo tipo di assistenza il ruolo del personale infermieristico è fondamentale: a loro sono affidati il piccolo paziente e la famiglia per 24 ore al giorno. Il distress emotivo e morale è uno dei rischi più importanti per i professionisti infermieri. Si manifesta spesso con rabbia, frustrazione, senso di colpa, perdita di autostima, depressione, risentimento, tristezza, ansia, incapacità di aiutare e senso di impotenza. L’insieme di questi fattori influenza la soddisfazione sul lavoro, la motivazione ed il benessere psico-fisico dell’infermiere, sfociando nella sindrome del burn out.

Presso il Dipartimento di Oncoematologia Pediatrica dell’AORN Santobono-Pausilipon, da alcuni mesi è stata attivata la struttura residenziale Alma Mater, dedicata all’assistenza dei bambini affetti da patologia oncologica in fase terminale di malattia. Tale struttura è affidata alla gestione di una équipe dedicata, formata da due dirigenti medici, otto infermiere pediatriche ed uno psicologo. L’assistenza si svolge su un turno di 24 ore, ed è affidata completamente al personale infermieristico con il supporto di una reperibilità medica.

Il progetto “Io e le cure palliative”

L’obiettivo del progetto è stato la raccolta di esperienze narrate dalle infermiere dedicate all’assistenza in hospice. L’idea è nata dalla necessità di valutare la componente emotiva e di stress a cui sono sottoposte le figure professionali impegnate in questo tipo di assistenza, ed a misurare il grado di burn out presente nel gruppo, allo scopo di individuare successivamente gli eventuali necessari interventi di supporto adeguati al mantenimento del benessere del personale impegnato.

Il Progetto si è sviluppato da aprile a giugno 2016 nell’ambito del Master in Medicina Narrativa Applicata di Fondazione ISTUD ed ha previsto il coinvolgimento di tutte le otto infermiere dedicate all’assistenza in hospice.

In una prima fase, sono state raccolte le otto narrazioni semi-strutturate, alle quali sono state integrate altre cinque narrazioni raccolte in un iniziale momento di fase “pilota”, senza griglia predefinita. La seconda fase del progetto ha previsto la somministrazione di uno strumento quantitativo validato utilizzato per la valutazione del grado di burn out degli operatori, il test di Maslach. I test compilati sono poi stati incrociati con le analisi delle narrazioni, per effettuare una valutazione del grado di stress presente sia nei singoli operatori che nell’intera équipe.

Gli indicatori utilizzati per l’analisi sono stati le esperienze ed i vissuti delle infermiere nell’assistenza ai piccoli pazienti e alle loro famiglie, le eventuali criticità espresse e gli elementi di positività nelle relazioni di cura, l’influenza di tali elementi sull’intera équipe assistenziale.

Le narrazioni delle infermiere

Uno dei primi elementi che emerge è l’uniformità delle narrazioni raccolte, che si manifesta già nello stile narrativo, prevalentemente di tipo didascalico/didattico, con un linguaggio talvolta tecnico (disease-centered).

Utilizzando l’analisi transazionale, si rileva una prevalenza di Bambini Adattati, ossia di persone che svolgono con cura e diligenza il proprio lavoro, ma che talvolta diventano in Bambini Sottomessi dalle sensazioni di sopraffazione e senso di impotenza nei confronti dell’inevitabilità degli eventi. Le infermiere rivelano inoltre un lato affettivo importante (proprio del Genitore affettivo) verso i pazienti e le famiglie. Sembra invece poco sviluppato lo stato dell’Io Adulto, probabilmente per la giovane età delle infermiere, tutte all’inizio della loro esperienza professionale:

Nella mia pratica quotidiana cerco di essere come vorrei che gli altri fossero con me, prestando attenzione soprattutto alla difesa della dignità umana. So che non posso capire cosa provano le tante mamme e i tanti papà che attraversano questo ospedale ma mi sforzo per essergli di aiuto. Non tutto quello che affrontiamo quotidianamente si legge dai libri, tante volte sei sola ad affrontare una nuova esperienza forte.

Ti rendi conto di quanto sia importante la tua presenza in determinati momenti, non per somministrare terapia o per svolgere procedure, ma semplicemente per stringere una mano, per ascoltare uno sfogo o per dare un abbraccio.

Un elemento di positività è rappresentato dal lavoro in équipe, basato sul reciproco supporto, insieme alla gratificazione ottenuta dalle relazioni con le famiglie, spesso molto grate al personale:

Ho instaurato un bel rapporto con tutte e ne sono soddisfatta, perché se funziona l’équipe, funziona anche tutto il resto.

Una spalla, anzi sette, su cui poter contare.

Nonostante l’estrema particolarità del mio lavoro ci sono tante piccole cose che mi rendono soddisfatta: gli sguardi di complicità con le mamme, la gratitudine che mostrano, il sorriso dei bambini che, nonostante tutto, riesci a vedere.

Resta però un senso di impotenza sommerso nei confronti di un contesto che si fa fatica ad accettare e ad affrontare:

Impotente da non poter far nulla per salvare una piccola anima, non poter far concretamente qualcosa per un bimbo non mi faceva star bene, mi sentivo impotente davanti a così tanto male.

Impotenza è questa la sensazione che mi accompagna quando inizio il mio turno.

Nonostante il grande carico emotivo ed assistenziale, le narrazioni sono in progressione, perché contengono una visione positiva ed entusiastica del proprio futuro professionale, rivelando la volontà di proseguire e crescere in questo specifico e delicato percorso intrapreso:

L’inizio del mio percorso lavorativo è stato come innamorarmi, innamorarmi di una professione che pone al centro del suo essere l’altro e i suoi bisogni. Si riceve tanto nel dare e lo scegliere le cure palliative non è stato un caso, ma nasce proprio da questa mia esigenza di investire nei sentimenti e di porli alla base del mio operato.

Sono entusiasta di aver conosciuto meglio questo mondo, perché mi ha dato la possibilità di mettermi alla prova, di accrescere la mia esperienza e rafforzare dentro di me sempre più la convinzione di essere nata per questo! Mi auguro di poter svolgere la mia professione nel settore che ho sempre vissuto, amato e soprattutto scelto.

I risultati ottenuti dal test di Maslach riflettono un basso rischio di burn out, soprattutto per quanto riguarda le relazioni interpersonali e con i pazienti, mentre si rileva un maggiore rischio di stress legato alla situazione professionale non stabilizzata.

La narrazione come strumento di sostegno

Da questa esperienza emergono dei professionisti molto motivati, anche se a tratti spaventati dall’impegno richiesto, soprattutto sotto l’aspetto emozionale. Per continuare a sostenere il gruppo di lavoro nel tempo, rinforzarlo e far emergere l’Adulto degli operatori, la narrazione si è rivelata essere lo strumento adatto, che ha permesso la libera espressione, il confronto e la presa di consapevolezza del team di cura. Una buona abitudine da non abbandonare!

Paola Chesi

Laurea in Scienze Naturali presso l’Università degli Studi di Torino. Project manager e docente dell’Area Sanità di ISTUD dal 2010. Esperta nella realizzazione di ricerche organizzative in ambito sanitario, in particolare attraverso l’approccio della Medicina Narrativa, applicata a progetti di respiro nazionale e internazionale per l’analisi dell’organizzazione e qualità dei percorsi di cura. Tra i temi di riferimento, l'inclusione delle persone con disabilità, e il benessere organizzativo. Coordina percorsi formativi accreditati ECM sulla Medicina Narrativa rivolti a professionisti sanitari, svolgendo attività di docenza applicata e tutoraggio. Coordina progetti europei finanziati nell’ambito dei Lifelong Learning Programme, con particolare riferimento alle metodologie formative basate sullo storytelling. Collabora con la Società Italiana di Medicina Narrativa e con referenti di università internazionali. Partecipa in qualità di relatrice a convegni promossi da società scientifiche e Aziende Sanitarie.

Questo articolo ha un commento

  1. Gianluca Ruggiero

    Buondì, sono molto interessato al progetto accennato nell’articolo in quanto sto affrontando tirocinio come educatore professionale in hospice presso l’ospedale del circolo di Varese. Si può accedere in qualche modo al materiale relativo al progetto??

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