Le cartelle parallele in un progetto sull’asma grave: intervista a Girolamo Pelaia

Foto-PelaiaIl progetto SOUND ha l’obiettivo di raccogliere le esperienze narrate dal medico nella cura dei pazienti con asma grave attraverso la cartella parallela per far emergere il vissuto del pazienti, della sua famiglia e del medico che lo segue nel percorso terapeutico; dare voce a un diverso percorso di cura del paziente nella sua accezione di persona; mettere a disposizione dei medici strumenti applicati nuovi. Ospitiamo l’intervista a Girolamo Pelaia, Professore Ordinario di Malattie dell’Apparato Respiratorio e Direttore della Scuola di Specializzazione in Malattie dell’Apparato Respiratorio presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università “Magna Graecia” di Catanzaro.

D. Cosa pensa della Medicina Narrativa?

GP. La Medicina Narrativa, inserita nel contesto del progetto SOUND, è un’esperienza molto positiva dal punto di vista professionale, emotivo e culturale: una forte integrazione al mio ultratrentennale background professionale. Il progetto SOUND mi sta dando molto, grazie a persone qualificate che mi aiutano a guardare la realtà del paziente e della malattia in maniera diversa da quella strettamente connessa al sapere medico: vi è una maggiore attitudine a capire la sofferenza, e a immedesimarsi – aspetti che mancavano, quando ero un giovane medico.

D. La scrittura delle cartelle parallele le è utile nel migliorare il suo rapporto con il paziente?

GP. Considero la cartella parallela come uno strumento che aiuta a migliorare il rapporto tra medico e paziente, consente di instaurare con maggiore successo un clima di empatia tra i due interlocutori. Un clima di empatia che sicuramente aiuta il rapporto, e – secondo me – stimola una visione di insieme più globale e integrata da parte del medico, che così è più propenso a cogliere aspetti del paziente che non necessariamente sono connessi a una patologia, ma che possono aiutare a comprendere dinamiche relazionali. Questo è importante per la costruzione di una maggiore fiducia che il paziente esprime e trasmette, e per la possibilità di individuare meglio il percorso terapeutico. C’è un miglioramento sotto ogni profilo. L’invito a scrivere la cartella parallela mi sta aiutando a esprimere concetti che magari c’erano già, ma in forma latente. Devo dire che avevo già avvertito una trasformazione in me, e nella mia vita professionale: non avevo però dato un’espressione scritta a questo cambiamento, le emozioni hanno forme poco strutturate. Questa è l’occasione per dare un ordine a quelle che sono le impressioni, le esperienze, i cambiamenti nel rapporto con gli altri – soprattutto i pazienti, ma anche gli studenti e nell’ambito della vita privata.

D. Secondo lei, vi sono altri strumenti per un miglior percorso di cura?

GP. Personalmente, ho sempre curato il rapporto coi pazienti, anche da un punto di vista umano. Con molti di loro si è sviluppato un rapporto di amicizia. Per quanto riguarda l’evoluzione della mia attività, ho notato in me un sensibile miglioramento nel tempo. Quando guardo ai miei specializzandi, un po’ rivedo me stesso, quando ero un giovane medico: e da giovani ci si sente nel pieno della salute e del vigore, si considera la malattia come “appannaggio” di altre persone. Si vedono i pazienti come persone a cui è successo qualcosa, mentre sulla propria salute non c’è alcun dubbio e alcuna riserva. Questo non aiuta molto il rapporto medico-paziente, perché non permette di capire a fondo la sofferenza. Adesso, riesco a capire il timore della malattia, e sono molto più propenso a capire la sofferenza, a entrare in simbiosi con la sofferenza. Semplicemente, sono arrivato a questa consapevolezza di essere più suscettibile alle malattie, più “sofferente”, vulnerabile, e questo mi permette di capire molto di più la sofferenza. Ora non vedo le testimonianze dei pazienti come “strane”: comprendo molto di più, entro più in sintonia. Se la persona vive direttamente questa consapevolezza, allora aumenta la capacità di comprensione. E questo è fondamentale, e consente anche risultati migliori a livello clinico e terapeutico.

Alessandra Fiorencis

Laurea magistrale in Scienze Antropologiche ed Etnologiche presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca. Specializzata nel campo dell’antropologia medica, ha condotto attività di formazione a docenti, ingegneri e medici operanti in contesti sia extra-europei che cosiddetti “multiculturali”. Ha partecipato a diversi seminari e conferenze, a livello nazionale e internazionale. Ha lavorato nel campo delle migrazioni e della child protection, focalizzandosi in particolare sulla documentazione delle torture e l’accesso alla protezione internazionale, svolgendo altresì attività di advocacy in ambito sanitario e di ricerca sull’accesso alle cure delle persone migranti irregolari affette da tubercolosi. Presso l’Area Sanità di Fondazione ISTUD si occupa di ricerca, scientific editing e medical writing.

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