La ricerca narrativa si deve fare!

“La ricerca narrativa si deve fare!”

E’ con  questa frase, che non lascia spazio ad interpretazioni, che si sono chiusi i lavori del workshop dedicato alla ricerca e alla documentazione del II congresso SIMeN, all’interno del quale ho avuto il piacere di fare da relatore.

Un messaggio forte che è arrivato al termine di un piacevole confronto con i partecipanti del  workshop, riuniti per condividere scenari, cercare risposte, mettere a fattore comune esperienze di ricerca narrativa.  Un tavolo di lavoro nato, già nel titolo “ricerca narrativa e documenti” con obiettivi molto pragmatici ma che ha sentito l’esigenza di confrontarsi in primis sul senso stesso del fare ricerca attraverso la narrazione. Ha senso fare ricerca narrativa?  Narrare è costruire relazione, emozionarsi, la più nota definizione di Narrative Medicine  parla di  “riconoscere, assorbire e interpretare le storie dei malati, e di esserne emotivamente toccati”, come poter essere “anonimi” come richiesto dai Comitati Etici in un rapporto che coinvolge la persona?

Per arrivare a dare una risposta a questi interrogativi, il gruppo di lavoro è partito con la condivisione di una distinzione, tra quella che è la “ricerca narrativa”, ossia quella progettualità che nasce con lo specifico obiettivo di indagare un determinato fenomeno attraverso l’utilizzo e le potenzialità della narrazione e la “ricerca clinica narrativa” ossia quella ricerca che nasce a valle dell’utilizzo della narrazioni nella pratica clinica quotidiana.

In entrambi i casi le potenzialità della ricerca narrativa sono evidenti, permettono di comprendere le esperienze di salute e di assistenza, di conoscere gli stili di vita, i linguaggi utilizzati, il contesto sociale, culturale e valoriale di riferimento, approfondire aspetti organizzativi, esplorare non soltanto gli accadimenti ma il significato che la persona attribuisce agli eventi stessi. L’illuminante intervento di Trisha Greenhalg durante il II congresso SIMeN ha ribadito l’assoluta necessità di promuovere la ricerca per comprendere i contesti culturali della salute, facendo chiaramente riferimento alle linee guida della WHO Europe pubblicate nel 2016 alle quali ISTUD ha partecipato come reviewer. Questo importante documento fa chiarezza su cosa è “buona ricerca narrativa” indicando la metodologia appropriata e rigorosa da seguire.

La sua applicazione tuttavia si scontra da un lato con la difficoltà nel far comprendere il valore della ricerca narrativa ad un mondo sanitario da sempre concentrato sui temi epidemiologici e strettamente clinici, dall’altro con la complessità burocratica dei contesti sanitari nella quale la ricerca deve calarsi.

Il gruppo di lavoro del workshop ha lavorato per analizzare le principali fasi della ricerca narrativa partendo dagli obiettivi. Perché  si intraprendere un progetto di ricerca narrativa? Quali motivazioni personali ed organizzative si nutrono nei confronti del progetto? Saper rispondere a queste domande vuol dire porre delle solide basi per la buona impostazione del lavoro, rendere più facile la comunicazione delle finalità del progetto con colleghi e decisori.

L’altro aspetto su cui ci si è confrontati è l’importanza della composizione di un team di progetto, l’esigenza di fare formazione su cosa è ricerca e cosa è medicina narrativa, saper trasmettere la motivazione e far comprendere le potenzialità del progetto per costruire “alleanze”.

Si è poi passati ad analizzare la documentazione da produrre condividendo la necessità di sottomettere la ricerca al Comitato Etico consapevoli che spesso le commissioni non conoscono la medicina narrativa e quindi vanno accompagnati ad una graduale comprensione attraverso l’utilizzo di un linguaggi che risulti in parte a loro familiare ma che non ricada nella forzatura di terminologie e schemi “EBM”.

Il confronto è proseguito su aspetti di metodologia di ricerca narrativa: fonti delle narrazioni, modalità di raccolta, i tempi, gli spazi (a chi propongo, come la propongo, quando la propongo e perché la propongo).

A nome dell’Area Sanità e Salute di ISTUD ho presentato la nostra metodologia di ricerca che, dal lontano 2004 quando siamo partiti in modo pioneristico con la prima esperienza di ricerca narrativa nelle cure palliative, abbiamo con motivazione e tenacia affinato fino a produrre diverse pubblicazioni su riviste scientifiche peer reviewed ed essere riconosciuti come centro di ricerca esperto anche all’estero.

Penso che una delle più importanti finalità di chi intraprende ricerca narrativa sia quella di poter comunicare alla comunità scientifica di riferimento, specialmente quella più riduzionista, le potenzialità di quello che si ottiene quando si lavora con le narrazioni, risultati difficilmente perseguibili con questionari e scale quantitative. Alla base del nostro modus operandi infatti c’è la volontà di integrare e completare la ricerca scientifica basata sulle evidenze creando dei ponti, affiancando agli strumenti quantitativi validati in letteratura (questionari di qualità della vita, scale sulle funzionalità residue ecc.) plot narrativi che ampliano l’indagine e permettono di entrare in profondità dei temi trattati. Ritengo personalmente riduttivo destinare i lavori di ricerca narrativa alle sole riviste che si occupano di ricerca qualitativa perché questa spartizione tra clinica e qualità di vita sia uno spreco. Tra i due estremi ritengo che si debba far fiorire quella produzione intermedia che possa mettere insieme “quantità” con “qualità”. Anche per questo nei nostri lavori non ci limitiamo a raccogliere un piccolo numero di narrazioni ma valutiamo i dati epidemiologici degli ambiti di malattia in cui ci muoviamo per ragionare su un numero di testi che possa essere rilevante per poter fare riflessioni ed approfondimenti adeguati.

I temi sollevati dal gruppo di lavoro ad Arezzo avrebbero richiesto ben più di una giornata di workshop, l’augurio è che il grande interesse che c’è intorno alla ricerca narrativa, testimoniato anche dalla crescente produzione di lavori, possa proseguire verso una nuova cultura della salute e dei servizi di cura.

Luigi Reale

Laurea in Scienze Politiche, Master in Management Sanitario presso la SDA Bocconi di Milano. Ha sviluppato e condotto numerosi progetti di ricerca applicata, percorsi di formazione e interventi di consulenza in ambito socio-sanitario. Studioso e docente di organizzazione e politica sanitaria, ha approfondito il tema della sostenibilità e della personalizzazione delle cure attraverso l’approccio narrativo. Negli ultimi anni ha lavorato in particolare nel mondo della disabilità e delle malattie neurodegenerative. E’ Responsabile dell’Area Sanità di ISTUD e membro del Direttivo della Società Italiana di Medicina Narrativa.

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