La neuroestetica per il benessere

Il termine “estetico” deriva dal greco antico, più precisamente dalla parola “aesthesis” – percezione sensoriale – e comprende qualcosa di più della sola percezione visiva: è sinonimo di una percezione globale tramite tutti i sensi del corpo, comprende l’impressione che la percezione lascia sul corpo. Nel significato originale del concetto, la percezione tattile e visiva costituisce un tutt’uno, insieme all’udito e al sentimento. Anche il profumo è una parte dell’estetica, così come il discernimento. Se pensiamo a qualcosa di molto familiare al mondo medico, potremmo parlare di “anestesia”, cioè semplicemente un blocco della percezione sensoriale del corpo che potrebbe essere totale, sedato la coscienza o agendo soltanto localmente. Come un ossimoro, l’anestesia sembra bloccare l’estetica, l’esperienza estetica. Siamo sicuramente grati al gruppo di ricercatori e medici di Boston che, alla fine dell’Ottocento, scoprirono l’utilità dei gas anestetici nella chirurgia. Non furono i primi: probabilmente, molti secoli fa, le erbe anestetiche erano usate sia per la guarigione che per i sacrifici. Chiamando in azione il significato di anestesia, ho pensato potesse essere abbastanza potente da spiegare in profondità le radici di un’esperienza estetica: qualcosa di percepito da tutto il corpo, e questo qualcosa produce qualcosa di buono proprio per il fatto che il nostro sistema sensoriale e logico s’impegna con il mondo intorno, le persone intorno, l’aria intorno al corpo.

Il professor Semir Zeki del Wellcome Laboratory of Neurobiology dell’University College London nel Regno Unito, insieme al collega Dr. Tomohiro Ishizu, sono i fondatori della Neuroestetica, quindi l’interazione tra cervello e Bellezza e Bruttezza. Hanno scoperto che la corteccia mediale orbito-frontale, negli esseri umani, quello che gli esperti chiamano il centro del piacere e della ricompensa del cervello, ha mostrato una maggiore attività nel cervello dei partecipanti che ascoltavano musica o guardavano una foto che avevano già considerato bella. Zeki ha scoperto, esaminando le immagini RM del cervello dei suoi soggetti, che quando le persone guardano qualcosa che trovano bello, una porzione nella parte anteriore del cervello chiamata corteccia mediale orbito-frontale “si accende“, cioè, c’è un aumento del flusso sanguigno in questa zona. Crede che sia una risposta quasi universale alla bellezza. Ci dice davvero che cercare la bellezza ci mette nella condizione di “sentirci bene”, una cosa universale e che, in alcuni casi, ci sono modi universali per raggiungerla. Il centro del piacere cerebrale è ricompensato con il neurotrasmettitore chiamato dopamina, uno dei migliori neurotrasmettitori, Zeki ha aggiunto una una novità nel suo studio, e questo senza alcuna aspettativa, – cioè che la bellezza percepita attraverso gli occhi (ad esempio l’arte visiva), e la bellezza che si riceve attraverso le orecchie (ad esempio la musica) non sono indirizzati verso diverse parti del cervello, entrambe “ricompensano” lo stesso luogo. Il livello di attività nella corteccia mediale orbito-frontale si correla molto fortemente al grado in cui si trova una cosa attraente. Ha spiegato:

“Il grado di attività della corteccia frontale mediale è direttamente proporzionale all’intensità dichiarata della bellezza. Quindi, se si sperimenta qualcosa di molto bello su di una scala da 1 a 10 e si dà un 10, allora l’attività sarà più forte che se lo si sperimentasse come un 1 su 10”.

Al contrario, ha detto Zeki, ha scoperto che quando le persone vedono qualcosa che è esteticamente spiacevole – qualcosa che trovano brutto – s’illumina una parte completamente diversa del cervello:

“Si tratta di un’altra regione del cervello, chiamata amigdala, che è attiva anche quando si guardano stimoli spaventosi, attiva con paura e rabbia, come se il corpo venisse mobilitato, o preparato, o si attivasse la pianificazione di una sorta di azione motoria per evitare ciò che è brutto”.

Ora la sfida è quella di scoprire quali sono gli oggetti che stimolano il rilascio di dopamina o attivano l’amigdala, cos’hanno in comune, per promuovere questi modelli comuni nel cervello  (Toward A Brain-Based Theory of Beauty Tomohiro Ishizu, Semir Zeki, Plos One, Published: July 6, 2011).

Maria Giulia Marini

Epidemiologa e counselor - Direttore Scientifico e dell'Innovazione dell'Area Sanità e Salute di Fondazione Istud. 30 anni di esperienza professionale nel settore Health Care. Studi classici e Art Therapist Coach, specialità in Farmacologia, laurea in Chimica e Tecnologie Farmaceutiche. Ha sviluppato i primi anni della sua carriera presso aziende multinazionali in contesti internazionali, ha lavorato nella ricerca medica e successivamente si è occupata di consulenza organizzativa e sociale e formazione nell’Health Care. Fa parte del Board della Società Italiana di Medicina Narrativa, Insegna all'Università La Sapienza a Roma, Medicina narrativa e insegna Medical Humanities in diverse università nazionali e internazionali. Ha messo a punto una metodologia innovativa e scientifica per effettuare la medicina narrativa. Nel 2016 è Revisore per la World Health Organization per i metodi narrativi nella Sanità Pubblica. E’ autore del volume “Narrative medicine: Bridging the gap between Evidence Based care and Medical Humanities” per Springer, di "The languages of care in narrative medicine" nel 2018 e di pubblicazioni internazionali sulla Medicina Narrativa. Ha pubblicato nel 2020 la voce Medicina Narrativa per l'Enciclopedia Treccani e la voce Empatia nel capitolo Neuroscienze per la Treccani. E' presidente dal 2020 di EUNAMES- European Narrative Medicine Society. E’ conferenziere in diversi contesti nazionali e internazionali accademici e istituzionali.

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