Invecchiare con le humanities: una rassegna di studi e benefici

Quand’ero piccolo amavo i vecchi, poi a un’età giovanile, non so, frequentavo i vecchi e non i giovani. Perché dai vecchi io apprendevo la saggezza, apprendevo e stavo a sentire quello che mi dicevano. E in quell’epoca i vecchi erano più altruisti. Mi ricordo un particolare: non vedevo l’ora di diventare vecchio. (Eduardo De Filippo)

Queste parole del celebre drammaturgo napoletano ci ricordano l’importanza dell’ascolto, soprattutto nei riguardi di una categoria umana troppo spesso più o meno volontariamente messa in disparte, nascosta: quella degli anziani. In molti casi relegati in austere case di riposo, lontano dallo sguardo della società attiva a cui per decenni hanno collaborato, sovente iniziano a soffrire di malesseri dell’anima – depressione, solitudine, apatia – prima ancora che di quelli, purtroppo inevitabili, del corpo. In controtendenza una medicina e una cura legata saldamente al mondo delle humanities, che come in altri suoi settori, predilige un approccio più sensibile e attento al soggetto, un approccio in grado di riportare dignità all’esistenza dei più vulnerabili, attraverso l’arte e la narrazione. Numerosi sono gli studi che si sono mossi in questa direzione.

Ad esempio le qualità curative dell’arte sono state documentate da molte ricerche condotte in Gran Bretagna, Scandinavia e altri paesi, e gli ospedali più progressisti cercano il consiglio di professionisti per selezionare e fornire opere d’arte appropriate. Sempre più le prove a sostegno della tesi che l’opera d’arte abbia un effetto positivo misurabile sui pazienti affetti da Alzheimer e demenza. Le case di cura si stanno muovendo per adottare opere d’arte scelte specificamente per affrontare le malattie dei loro residenti. La scelta dell’opera d’arte perfetta per le case di cura richiede il rispetto di linee guida molto specifiche, come sottolinea Jan Marion, proprietario del H. Marion Framing Studio, Inc. di Chicago:

I residenti anziani nell’ambiente della casa di cura hanno molto bisogno di stimoli, e dare loro immagini artistiche per stimolare la loro immaginazione è un modo per raggiungere questo obiettivo.

Raphael DeOcampo, direttore del Dementia and Special Care at Holy Family Nursing and Rehabilitation Center, concorda con il valore delle immagini di comfort, notando che:

“I nostri residenti sono particolarmente affezionati a una certa immagine in cui un vecchio e un ragazzo – presumibilmente, un nonno e un nipote – sono seduti insieme su di una panchina.”

Il personale porterà un residente sulla foto, lo punterà e dirà:

“Cosa vedi in questo? Cosa ricordi?”.

Il residente risponderà:

“Ricordo di essere con mio nonno.”

Uno studio, intitolato “Dignity of older people in a nursing home: narratives of care providers” e pubblicato nel 2010, ha avuto lo scopo di illuminare le situazioni eticamente difficili vissute dai fornitori di assistenza che lavoravano in una casa di cura. Sono state condotte interviste individuali utilizzando un approccio narrativo. Nell’analisi è stato applicato un metodo fenomenologico-ermeneutico sviluppato per la ricerca dell’esperienza di vita. I risultati hanno dimostrato che gli operatori sanitari devono affrontare sfide etiche nel loro lavoro quotidiano. Gli informatori di questo studio hanno trovato che l’equilibrio tra l’ideale, l’autonomia e la dignità rappresentasse un problema quotidiano. Hanno definito la cultura in cui lavorano come non di supporto. Le strutture di assistenza per gli anziani rappresentano ovviamente una sfida etica, soprattutto per le persone affette da demenza. I partecipanti a questo studio hanno espresso frustrazione e sentimenti di impotenza.

Ci possiamo spostare poi fino in Iran, dove sempre sul tema dell’interconnessione tra humanities e persone anziane, è stato portato avanti uno studio davvero unico, “The Effect of Person-Centered Narrative Therapy on Happiness and DeathAnxiety of Elderly People“. L’obiettivo è stato quello d’indagare l’efficacia della terapia narrativa incentrata sulla persona per aumentare la felicità e ridurre l’ansia di morte nelle persone anziane. Tra la popolazione di anziani in case di cura a Teheran, lo strumento di ricerca includeva il questionario sulla felicità di Oxford (1989) e la Scala di Ansia della Morte del Templer. Per analizzare i dati sono stati utilizzati grafici e analisi grafiche. I risultati hanno mostrato che la terapia narrativa incentrata sulla persona ha un effetto positivo sull’aumento della felicità e sulla riduzione dell’ansia di morte. La variazione percentuale per la felicità e l’ansia è stata del 42% e 53% rispettivamente. Gli effetti di questi miglioramenti sono rimasti in gran parte invariati durante il periodo di follow-up. Pertanto, la terapia narrativa può essere utilizzata e si traduce in una senso di pace interiore.

Un ulteriore studio, “Loneliness, depression and sociability in old age“, condotto da Archana Singh and Nishi Misra, ha rivelato un rapporto significativo tra depressione e solitudine. Lo studio è stato condotto su 55 anziani (uomini e donne). Gli strumenti utilizzati sono stati il Beck Depression Inventory, la UCLA Loneliness Scale e la Sociability Scale di Eysenck:

Molte persone vivono la solitudine e la depressione in età avanzata, sia per il fatto di vivere da sole, sia per la mancanza di stretti legami familiari e di legami ridotti con la loro cultura d’origine, il che comporta l’incapacità di partecipare attivamente alle attività della comunità. Con l’avanzare dell’età, è inevitabile che le persone perdano la connessione con le loro reti di amicizia e che trovino più difficile avviare nuove amicizie e appartenere a nuove reti.

Anche il Brasile ha fornito il suo contributo scientifico alla ricerca sull’argomento, intitolato “Factors associated with happiness in the elderly persons living in the community“, dimostrando che i fattori psicologici e l’età influenzano i livelli di felicità negli adulti più anziani che vivono nella comunità. È stato condotto uno studio con 263 anziani nella zona di copertura di un’unità sanitaria familiare situata nello stato di São Paulo, Brasile. La Scala della Felicità Soggettiva è stata usata per misurare la felicità, il cui punteggio finale ha determinato uno dei tre risultati: non felice, intermedio e felice. Disabilità, caratteristiche sociodemografiche e fattori psicologici, cognitivi e fisici sono stati presi in considerazione. Sono state riscontrate differenze statisticamente significative tra i tre gruppi per quanto riguarda la soddisfazione per la vita, la disabilità, la fobia sociale, l’ansia, la depressione e la fragilità. Le conclusioni della ricerca hanno dimostrato che un migliore screening, diagnosi e trattamento dei disturbi della salute mentale potrebbe aumentare il senso di felicità tra gli adulti più anziani.

Tornando in patria, uno studio condotto da ricercatrici dell’Università Cattolica di Milano (Federica Biassoni, Giada Cassina e Stefania Balzarotti), intitolato “Autobiographical Narration as a Tool for the Empowerment of Older Adults’ Subjective and Psychological Wellbeing in Nursing Homes“, ha sottolineato una volta di più quanto la narrazione possa rivelarsi un’ottima risorsa per promuovere il benessere degli anziani, in particolar modo nella case di cura. Ventuno residenti di case di cura hanno partecipato a un’esperienza di formazione narrativa che consisteva in tre sessioni di interviste settimanali. Durante ogni intervista, uno psicologo ha aiutato i partecipanti a costruire una narrazione autobiografica della loro vita attuale nella casa di cura, basata su una tecnica di Decostruzione/Ricostruzione. Le variabili del benessere soggettivo e psicologico sono state valutate prima e dopo l’intervento. Il benessere soggettivo ma non psicologico è aumentato nel corso dell’intervento. I risultati suggeriscono che un breve training narrativo basato sulla terapia narrativa può influenzare positivamente il benessere soggettivo dei residenti di una casa di cura.

Presentiamo infine ai nostri lettori un’interessante ricerca prodotta da Teresa Wills e Mary Rose Day, “Valuing the person’s story: Use of life story books in a continuing care setting“, concernente l’uso di libri di storia di vita all’interno di contesti di cura. I life story books (LSB) possono fornire una visione olistica degli adulti più anziani, promuovere un’assistenza incentrata sulla relazione e migliorare l’assistenza incentrata sulla persona. Il processo di sviluppo dei LSB comporta la raccolta e la registrazione di aspetti della vita di una persona sia passati che presenti. Lo scopo di questo studio era quello di coinvolgere i residenti di case di cura nello sviluppo di libri di storie di vita in un ambiente di casa di cura e quindi di esplorare le narrazioni documentate con i residenti e le loro famiglie. Per lo studio è stato utilizzato un disegno esplorativo descrittivo qualitativo. Hanno partecipato cinque residenti e tre assistenti familiari. I temi centrali dell’analisi dei dati riguardavano la costruzione sociale della vita delle persone, i ruoli sociali e i valori religiosi, le relazioni e le perdite e il senso di sé.

Concludiamo questa breve rassegna lasciandovi con alcuni estratti da quest’ultimo caso analizzato:

“Sento che generalmente ho vissuto una vita ricca, alternando una tranquilla disperazione e un alto livello di abbandono. Guardando indietro alla mia vita mi sento molto soddisfatto”.

“Ero perso senza il partner della mia vita. Era un marito e padre meraviglioso che amavo molto. Ero molto orgoglioso di lui e questo libro di storie di vita è un omaggio a lui”.

“I tempi erano duri per la gente, molti se ne andavano a dodici anni per ragioni economiche ma, in qualche modo, siamo sempre riusciti a cavarcela, senza dover niente a nessuno”.

“La mia fede è più forte che mai. Raramente mi manca la Messa e dico il rosario ogni sera con qualche amico nella mia nuova casa”.

Matteo Nunner

Laureato in Lettere all'Università del Piemonte Orientale, si sta specializzando in Scienze Antropologiche ed Etnologiche all'Università di Milano-Bicocca. Giornalista e scrittore vercellese, ha collaborato con molte testate locali e nel 2015 ha pubblicato il romanzo d'esordio "Qui non arriva la pioggia". Nel 2017 ha poi pubblicato "Il peccato armeno, ovvero la binarietà del male".

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