Invecchiare e l’assistenza informale: intervista con Leen De Kort

Questo mese abbiamo il piacere di ospitare sulla nostra rivista un’intervista d’approfondimento condotta assieme alla dottoressa Leen De Kort, ricercatrice presso l’Università di Anversa. Assieme a lei abbiamo discusso del tema dell’invecchiamento e dell’assistenza informale.

 

1) Chi è la dottoressa Leen De Kort?

Mi sono laureata in sociologia della salute presso l’Università di Gand (Belgio) nel 2011. Dopo aver approfondito il campo degli studi sulla salute, aver conseguito una laurea e aver svolto diversi lavori come ricercatore, ho deciso di iniziare un corso di dottorato presso l’Università di Anversa. Qui lavoro per il Centro di Ricerca per gli Studi Longitudinali e i Corsi di Vita, e attualmente mi concentro sulla solidarietà intergenerazionale. L’assistenza informale dei figli ai genitori anziani è un aspetto importante di questo campo di ricerca.

 

2) L’assistenza informale: come definirla brevemente e quali sono i punti di forza di questo onere/risorsa?

Le persone che prestano assistenza informale, come definite dall’OMS, sono persone che si occupano di assistenza senza essere retribuite per questo lavoro e senza far parte di un’organizzazione i cui servizi possono essere assunti. I membri della famiglia, ma anche gli amici o i vicini possono essere assistenti informali. Nel caso dell’assistenza agli anziani, tuttavia, è più probabile che i partner, i figli adulti e i figli in generale, diventino in linea di principio assistenti informali. Poiché sono interessata alla solidarietà intergenerazionale, mi concentro sull’assistenza informale fornita dai figli adulti ai loro genitori.

 

3) Si distingue tra due tipi di cura: potresti definirli, nelle loro applicazioni?

L’assistenza informale consiste in un’ampia gamma di attività: dalla gestione dei documenti amministrativi alla raccolta di generi alimentari o all’aiuto nel vestirsi e spogliarsi. In generale, l’OMS distingue due grandi categorie: la prima categoria è l’aiuto con le attività di vita quotidiana (ADL), spesso indicato come aiuto di cura personale. Questo tipo di cura consiste nell’aiuto con le attività di base che sono necessarie per vivere in modo indipendente, come mangiare, fare il bagno e toilette. La seconda categoria comprende l’aiuto in attività con aspetti del funzionamento cognitivo e sociale, chiamate attività strumentali della vita quotidiana (IADL). Tali attività includono cucinare, fare lavori domestici, gestire denaro e utilizzare il telefono. L’aiuto in queste attività è spesso definito aiuto strumentale.

 

4) Avete trovato una possibile correlazione tra la depressione del caregiver (principalmente donne?) e il non fare alcun tipo di caregiving, oppure farne un tipo, o due…Potrebbe spiegarci?

Ricerche precedenti hanno trovato che fornire cure informali può essere dannoso per la salute mentale di un caregiver. Tuttavia, non è ancora del tutto chiaro in quali circostanze ciò sia vero. Nella mia ricerca sull’impatto dell’assistenza informale sulla salute mentale dei figli adulti che si prendono cura dei loro genitori, cerco di avere una visione più chiara di queste circostanze. I nostri risultati preliminari suggeriscono che non solo l’intensità della cura, ma anche il tipo di cura che si dà è importante quando si guarda alla salute mentale. Quando si fornisce un’assistenza informale intensa, l’assistenza personale sembra portare a sintomi più depressivi rispetto all’assistenza strumentale o alla mancata assistenza. Tuttavia, il nostro studio non è ancora terminato. Questi risultati devono essere contestualizzati. Sappiamo, ad esempio, che più donne rispetto agli uomini prestano assistenza informale ai genitori. È quindi necessario indagare su come questo influenzi i risultati del nostro studio.

 

5) Avete utilizzato principalmente strumenti statistici per misurare la depressione. Avete usato anche degli strumenti narrativi, o delle fonti etnografiche? Potrebbe commentare la questione? Se non avete mai usato la ricerca narrativa, vorreste provarla per capire meglio e interpretare i dati?

Finora ho usato solo strumenti statistici per indagare il rapporto tra assistenza informale e salute mentale. Sto però lavorando con un progetto a metodi misti. Ciò significa che, in una seconda fase, condurrò interviste con i figli che si prendono cura in modo informale dei loro genitori. Questo mi permetterà di mettere in prospettiva i risultati della mia ricerca quantitativa, ma mi permetterà anche di incorporare alcune dimensioni che non possono essere considerate con i dati dei sondaggi.

 

6) Qual è il consiglio da dare alle istituzioni per aiutare non solo gli anziani ma anche i “caregiver” a “proteggersi”?

Poiché la pressione sui servizi sanitari formali è in aumento, i familiari sono sempre più spesso chiamati a intervenire. Poiché questo può essere dannoso per la loro salute mentale, è importante che i servizi di assistenza a lungo termine non si concentrino più solo sugli anziani stessi, ma che inizino a considerare i loro assistenti come un importante gruppo target. Tuttavia, per elaborare una politica efficace, dobbiamo prima scoprire in quali circostanze è più probabile che il caregiving influenzi negativamente la propria salute mentale.

 

Offriamo infine ai nostri lettori lo spunto per un interessante approfondimento riguardante sempre le tematiche trattate. Un breve abstract di una pubblicazione scientifica di Leen De Kort sulla salute mentale e l’assistenza informale:

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Maria Giulia Marini

Epidemiologa e counselor - Direttore Scientifico e dell'Innovazione dell'Area Sanità e Salute di Fondazione Istud. 30 anni di esperienza professionale nel settore Health Care. Studi classici e Art Therapist Coach, specialità in Farmacologia, laurea in Chimica e Tecnologie Farmaceutiche. Ha sviluppato i primi anni della sua carriera presso aziende multinazionali in contesti internazionali, ha lavorato nella ricerca medica e successivamente si è occupata di consulenza organizzativa e sociale e formazione nell’Health Care. Fa parte del Board della Società Italiana di Medicina Narrativa, Insegna all'Università La Sapienza a Roma, Medicina narrativa e insegna Medical Humanities in diverse università nazionali e internazionali. Ha messo a punto una metodologia innovativa e scientifica per effettuare la medicina narrativa. Nel 2016 è Revisore per la World Health Organization per i metodi narrativi nella Sanità Pubblica. E’ autore del volume “Narrative medicine: Bridging the gap between Evidence Based care and Medical Humanities” per Springer, di "The languages of care in narrative medicine" nel 2018 e di pubblicazioni internazionali sulla Medicina Narrativa. Ha pubblicato nel 2020 la voce Medicina Narrativa per l'Enciclopedia Treccani e la voce Empatia nel capitolo Neuroscienze per la Treccani. E' presidente dal 2020 di EUNAMES- European Narrative Medicine Society. E’ conferenziere in diversi contesti nazionali e internazionali accademici e istituzionali.

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