Storie sotto i roveri. Narrazioni in RSA – di Filippo Arrigone

Project Work realizzato nell’ambito del Master in Medicina Narrativa Applicata Ed.XII

di Filippo Arrigone, Terapista Occupazionale

introduzione: empatizzare con il padrone di casa

Secondo la linea guida del servizio sanitario nazionale, la Residenza Sanitaria Assistenziale (RSA), è una struttura non ospedaliera ma comunque a impronta sanitaria, che ospita per un periodo variabile da poche settimane al tempo indeterminato persone non autosufficienti, che non possono essere assistite in casa e che necessitano di specifiche cure mediche di più specialisti e di un’articolata assistenza sanitaria.

Che cos’è quindi una RSA? È la casa dell’anziano, che può essere autosufficiente oppure totalmente dipendente. Dato che è la sua abitazione, sarebbe importante conoscere pienamente il padrone di casa, per improntare al meglio le cure e per migliorare l’empatia degli ospiti, visti non come i pazienti, ma come il personale sanitario, assistenziale e/o amministrativo che lavora all’interno della struttura.

Mi sono chiesto, quindi, quale potrebbe essere lo strumento migliore per sviluppare tale empatia di modo da migliorare le cure? La medicina narrativa è la risposta all’implementazione di un ambiente sanitario sano per incrementare il percorso di cura.

Il mio progetto è nato circa a giugno 2022 all’interno della RSA “I Roveri” di Caresanablot (VC), al fine di raccogliere narrazioni riguardanti stralci di vita dei residenti per poi inserirle all’interno di un libretto che si intitolerà Storie sotto i Roveri e per far conoscere sfaccettature degli anziani della struttura al personale della casa di cura, facendo aumentare l’empatia e la conoscenza.

metodi: traccie narrative semistrutturate

Dato che una difficoltà che potevo incontrare era quella della scrittura, ho deciso di armarmi di registratore audio e, utilizzando una traccia narrativa semi strutturata, ho deciso di intervistare prima e trascrivere poi, parola per parola, le narrazioni raccolte.

Le tracce narrative usate sono state:

  • Raccontami di te, della tua vita prima di arrivare qui;
  • Come sei arrivato in questa struttura;
  • Come ti sei sentito all’inizio;
  • Raccontami di te ora, della tua vita qui;
  • Per domani cosa vorresti.

In questi pochi mesi di lavoro ho raccolto 10 narrazioni, sia di persone con deficit cognitivo che di persone senza deficit alcuno, 4 “ragazze” e 6 “ragazzi”, carichi di voglia di raccontarsi, con registrazioni che duravano dai 10 minuti fino ad arrivare ad un massimo di 35 minuti.

le narrazioni

Alcune narrazioni partono dalla gioventù fino ad arrivare all’aspettativa del domani, come nel caso della ex panettiera:

Io ti posso dire che la mia vita è stata bella, buona, ben definita. Ho lavorato, mi sono sposata che avevo 19 anni e sono entrata in negozio e ne sono uscita dopo 40 anni. Avevo un panificio e mio marito infornava con gli operai e io vendevo i prodotti con la commessa. Avevo 5 o 6 operai e lavoravo molto. È stato bello, bellissimo. Ho lavorato molto ma non mi sentivo mai stanca, c’era entusiasmo. Sono entusiasta della mia vita…….. Nel mio futuro cosa vuoi che veda! Ho 95 anni, sono contenta di tutto, leggo faccio le parole crociate e sto bene. È solo lunga a far passare le giornate. Poi c’è mia figlia che mi aiuta tanto, ho tutto quello che ho bisogno e non mi fa mancare nulla

Altre invece guardano poco al passato, ma si concentrano più sul futuro, come dice l’amante delle macchine:

Per il futuro mi sposerò a Roma con la mia amica lì (indica una signora che passa per il corridoio), sei invitato! Poi ho aperto da poco un negozio di macchine. Lavoro tanto e sto bene, sono contento di tutto

Storie che parlano di serenità e accettazione anche se la vita è stata dolorosa:

Nel futuro non mi aspetto nulla, aspetto solo di andare da mia figlia e mio marito che mi aspettano lassù. Non posso stare sempre qui nel letto. Non riesco neanche a stare seduta, non posso fare niente, sono qui, è dura

Altre che non si danno pace per la mancanza della propria casa:

Quando ero arrivata ero contenta di essere qui, ora non so perché prima ero con il, come si chiama, deambulatore, ora ho il bastone e sto meglio. Dicevo con mia figlia che volevo venire qui, non ero efficiente come prima. Ho deciso io di venire qui, potevo andare a casa, ma non ho voluto. Ora ci penso che potrei andare a casa, ma cosa faccio di notte. Prima avevo una signora che veniva, che sono stata operata diverse volte. Mi faceva solo da mangiare, veniva alle 11.30, faceva quei due lavori e bom. Però è la notte quella che mi trattiene. Ho sempre un po’ di paura. Mi sono alzata e non so cosa mi è successo, sono andata giù e ho battuto la schiena.”

In queste narrazioni, sono presenti gioia, rabbia e dolore, ma soprattutto empatia e compassione per il prossimo:

15 anni a fare l’idraulico, lavoravo in mezzo alla gente e mi piaceva. Poi quando andavo a casa delle persone capivo se potevano o no pagare. Avevamo un’altra mentalità. Se vedevo che avevano una bella casa facevo il prezzo giusto, se non riuscivano invece chiedevo solo la manodopera per campare io, non per guadagnare. Chiedevo poco. Quando c’era l’alluvione ho cambiato tutti gli impianti a chi aveva bisogno. Mettevo il bruciatore e non facevo pagare il lavoro. Venivano a sunami al ciuchin perché ero onesto”.

cosa ho imparato dalle narrazioni

Ogni narrazione mi ha restituito tanto. Mi ha aiutato a scoprire lati che non conoscevo delle persone coinvolte. Ad esempio, con l’ex idraulico, con momenti di grave agitazione psicomotoria, ho conosciuto una sua vecchia amica che abita a pochi passi dalla struttura e saltuariamente la andiamo a trovare per andare a fare qualche chiacchera e a bere il caffè. Al ritorno è più tranquillo e per qualche giorno, se ci si allaccia all’incontro, è più facile nella gestione quotidiana. Insieme al signore con la sindrome di Down ho scoperto la sua passione per le automobili e tutti i giorni prima di colazione passa a salutarmi in ufficio per guardare e stampare le fotografie delle macchine che custodisce gelosamente. Invece con una signora ho imparato a conoscere la sua tristezza, cambiando completamente l’idea che avevo su di lei prima di conoscere la sua narrazione.

Il momento della narrazione, oltre che a essere per me un attimo formativo e informativo, è stato anche un episodio piacevole per i residenti della struttura: si sentivano importanti perché qualcuno era interessato alla loro vita, alle loro emozioni, ai loro pensieri e ai loro sfoghi.

conclusioni

Il lavoro prima di definirsi concluso è ancora lungo; le narrazioni da raccogliere sono ancora tante ed è lunga la strada per far cambiare idea agli scettici sull’empatia, del resto questo è il mio posto di lavoro e quando finisce il turno, finisce tutto. Vorrei che ognuno degli operatori che lavorano in sanità portassero a casa una tesserina del puzzle che è il residente della casa di cura, dell’ospedale, del centro diurno; che qualcuno mi dicesse: posso raccontarti l’esperienza che ho avuto con quell’ospite? Fortunatamente qualcuno l’ha già fatto, speriamo che da pochi diventino tanti.

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