Competenze narrative nella formazione medica: intervista alla dottoressa Grazia Chiarini

Questo mese abbiamo il piacere di ospitare sulla nostra rivista un’intervista alla Dott.ssa Grazia Chiarini, Medico di Medicina Generale della provincia pisana. La dottoressa non solo ci offre oggi la sua prezionsa testimonianza come ex partecipante al Master di Medicina Narrativa Applicata, ma ci racconta il suo sogno di diffusione della medicina narrativa attraverso la creazione di una vera e propria rete di professionisti che applicano l’approccio narrativo e i suoi progetti di inserimento di corsi su competenze trasversali all’interno dei percorsi  formativi in ambito sanitario.

1) Come prima domanda, per presentarla ai nostri lettori, le chiedo: ci racconta brevemente la sua vita professionale come medico di medicina generale e la sua esperienza con la medicina narrativa, dal percorso al Master di Medicina Narrativa Applicata, fino ai corsi in cui è coinvolta come docente per colleghi e studenti?  

 Dopo aver conseguito alla fine del ‘78 la laurea in Medicina e Chirurgia presso l’Università di Pisa, nel 1982 ho preso la convenzione con il S.S.  in medicina generale, nell’ Asl 11 di Empoli, a Santa Croce sull’Arno, un paese famoso per la concia delle pelli, in provincia di Pisa. Durante il mio percorso universitario mi ero già resa conto che lo studio del corpo umano e delle patologie che potevano colpire una o più delle sue parti, era sufficiente alla formazione di un buon operatore tecnico del corpo-macchina ma non di un medico che avrebbe dovuto occuparsi della persona malata nella sua totalità. Gli occhi imploranti dei pazienti, rassegnati nei letti dell’ ospedale dove facevo tirocinio, raccontavano, infatti, molto di più. Parlavano di dubbi, aspettative, paure e speranze. Prendevo sempre più consapevolezza che quei corpi da riparare  erano persone da ascoltare e capire. Fare il medico di medicina generale non è facile. Tanti problemi tutti i giorni, persone sempre più esigenti, stimolate anche dai mass media, tanta burocrazia che prende molto tempo, patologie gravi che si annidano dietro sintomi apparentemente banali, malattie croniche sempre in aumento, problemi psicologici e sociali da affrontare insieme alle rendicontazioni periodiche richieste dall’ Azienda Sanitaria per il contenimento della spesa. Tutto questo grava sul lavoro quotidiano ma anche sulla vita privata del medico e può portare a stress, insofferenza, aumento dei conflitti con alcuni pazienti e, a volte, anche con i propri familiari. Anch’io ho dovuto affrontare tutti i giorni questa realtà che è faticosa sì ma che arricchisce molto sia dal punto di vista professionale sia umano. Un aspetto in particolare è per me il più importante: la relazione continuativa e il rapporto di fiducia che si istaura con le persone che ti scelgono come loro medico. Relazione che si basa sull’accoglienza, l’ascolto, la condivisione. Ho avuto modo di ascoltare tante storie di malattia, di sofferenza, di gioia, storie di persone diverse, anche provenienti da altri paesi, con le quali si può parlare solo a gesti, rispolverando  l’inglese od il francese studiati a scuola. Prendersi cura della persona considerando gli aspetti clinici, diagnostici ma anche l’ambiente in cui vive, la famiglia, il suo vissuto di malattia e prendere consapevolezza del ruolo terapeutico di sé come prima medicina, tutto questo è il cuore del lavoro di medico di medicina generale, specialista della persona non solo di una sua parte. L’approdo alla Medicina Narrativa è stato naturale, direi inevitabile, successivo ad un percorso di scrittura autobiografica dove ho avuto modo di conoscere meglio il potenziale terapeutico della scrittura. E’ stato però il Master di Medicina Narrativa applicata, frequentato nel 2015, a darmi gli strumenti e la preparazione necessaria per poterli utilizzare in vari contesti: con i giovani medici del Corso di Formazione in Medicina Generale di Pisa, coinvolti durante la preparazione del mio project work per il master ed anche in lezioni successive; con gli infermieri dell’IPASVI di Firenze; con i Medici di Medicina Generale, nell’ambito di un ciclo di gruppi Balint,  ai quali  ho proposto, in qualità di conduttrice,  di scrivere, all’inizio e alla fine del percorso,  una metafora relativa alla professione, per valutare i possibili cambiamenti che la partecipazione al gruppo poteva dare nel tempo. Infine, grazie alla Formazione dell’ASL Toscana Centro ed agli animatori di Formazione, ho potuto organizzare, nell’ambito della Formazione permanente dei MMG, un corso di Medicina Narrativa a San Miniato, nel periodo Settembre-Dicembre 2018.

2) In base alla sua esperienza, quali sono le difficoltà e i benefici che ha portato la medicina narrativa nella sua pratica clinica, in qualità di medico di medicina generale?

La difficoltà principale, come osservano anche i colleghi che hanno partecipato ai corsi, è il tempo. Il medico di medicina generale si occupa della salute del suo assistito a tutto tondo, ha molti pazienti in ambulatorio  e varie visite domiciliari, soprattutto di malati cronici, non deambulanti, che hanno problemi di salute ma anche di solitudine e bisogno di parlare. A questo si aggiungono il tempo impiegato per fare i certificati, le domande di invalidità, le ricette e quello necessario per la propria famiglia. Ho imparato, però, dalla mia esperienza che il tempo è relativo e può aumentare se si ascolta meglio ciò che la persona vuol dire dietro ai sintomi portati, se cerchiamo di capire il suo vissuto e le sue aspettative. “Ascolta il paziente, ti sta dicendo la diagnosi!”, come suggerivano Osler e Balint, è un consiglio molto utile nella pratica quotidiana, aiuta a migliorare la relazione che viene arricchita di nuovi contenuti. Scrivere le mie impressioni su alcuni pazienti ed invitarli a raccontare o scrivere i loro vissuti, mi ha aiutato a prendermi meglio cura di loro, ad istaurare un migliore percorso terapeutico condiviso.

3) In virtù della sua esperienza, quali strategie consiglierebbe per implementare la comunicazione e la diffusione dell’approccio narrativo, in particolar modo in quelle realtà dove ancora la cultura di questo approccio fatica ad emergere?   

Occorre procedere a piccoli passi ma continuare a proporre iniziative, convegni, gruppi di narrazione con  operatori sanitari e malati per poter cogliere i bisogni e le proposte, coinvolgendo anche i dirigenti aziendali, i centri di Formazione e gli animatori di Formazione. Ai medici di medicina generale, già oberati dal molto lavoro, potrà sembrare  una fatica in più ma quando si renderanno conto che questo approccio permette loro di prendere consapevolezza di ciò che in realtà stanno facendo quotidianamente e migliora la qualità della loro vita professionale e personale, saranno maggiormente disponibili ad utilizzarlo. Questo è successo nell’ultimo corso di medicina narrativa con i medici di famiglia. Dopo un iniziale scetticismo,  la maggioranza ha chiesto di poter continuare con un percorso di approfondimento, anche al  fine di creare uno spazio ad hoc, una cartella parallela, da inserire nell’ambito dei programmi informatici maggiormente utilizzati dai MMG nella loro pratica quotidiana.

4) In qualità di docente, qual è il suo giudizio in merito all’introduzione dell’approccio narrativo nel percorso di studi dei giovani studenti in ambito sanitario?

E’ molto importante. Il percorso universitario di Medicina e Chirurgia, ancora di più rispetto ad altri indirizzi in ambito sanitario, è improntato sullo studio del corpo umano e non della persona malata. E’ un approccio questo che ben si rileva negli studenti che frequentano gli ultimi anni della facoltà e nei giovani medici, che non si sentono preparati a prendersi cura di una persona dal punto di vista biopsicosociale. Come docente, nell’ambito del Corso di Formazione in Medicina Generale, sto continuando a portare la mia esperienza ed il mio pensiero sulla pratica medica, che , come diceva Ippocrate nel IV secolo A.C, è “un’arte”.  Tener conto degli aspetti clinici, diagnostici, terapeutici è fondamentale, parallelamente agli aspetti relazionali. Oggi  si parla tanto di “Medicina di precisione” o “Medicina personalizzata”, quale di più personalizzata è una medicina che si occupa del vissuto di una persona e non solo del suo DNA?

Silvia Napolitano

Ricercatrice dell’Area Sanità e Salute di Fondazione ISTUD. Laurea Magistrale in Biotecnologie Industriali presso l’Università di Milano-Bicocca, Master Scienziati in Azienda presso Fondazione ISTUD. Esperta di Medical Writing con una declinazione nelle aree di ricerca qualitativa e Medicina Narrativa. Collabora su progetti di ricerca, formazione e sviluppo aventi per oggetto il miglioramento della qualità di vita e di cura di pazienti affetti da patologie genetiche o croniche.

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