Caregiving e umanità: uno sguardo al romanzo “Never Let Me Go”

“È nella natura dell’inizio” – afferma – “che qualcosa di nuovo è cominciato, che non ci si può aspettare da ciò che è accaduto prima. Questo carattere di sorprendente imprevedibilità è insito in tutti gli inizi…Il fatto che l’uomo sia capace di agire significa che da parte sua ci si può aspettare l’imprevisto, che è in grado di compiere ciò che è infinitamente improbabile. E questo ancora una volta è possibile solo perché ogni uomo è unico, così che a ogni nascita qualcosa di veramente originale viene al mondo”. (Arendt, 1958: 177-8)

“Never let me go”, romanzo di Kazuo Ishiguro (2005), ci fa sperimentare un mondo di chiusura, di impossibilità, prevedibilità e silenzio, dove ogni nascita non può rappresentare un nuovo inizio, essendo invece un momento di ripetizione, mimica, fabbricazione. E’ un romanzo ambientato in un mondo in cui il concetto di essere umano perfetto e duraturo non funziona più come costante luce guida di tutte le azioni umane, all’interno del divario tra l’ideale stesso e la realtà.  Questo divario è già stato superato e disprezzato, facendo capire a noi lettori cosa significhi questa violazione dei confini per l’umanità e la scienza.

La storia d’amore tra Kathy H. e Tommy D. ci attira nella trama, perché sentiamo fin dall’inizio che qualcosa di strano si profila davanti al collegio Hailsham, situato nella campagna inglese, il luogo di appartenenza di questi personaggi (anche dopo averlo lasciato). Benché alle pagine 79 e 80 ci venga raccontato solo il futuro chiuso degli studenti di Hailsham, trattati come semplici sottoprodotti medici utilizzati per il prelievo di organi a beneficio della popolazione umana, possiamo leggere fin dall’inizio tra ciò che ci viene detto e ciò che non ci viene detto, proprio come accade a Hailsham secondo uno degli insegnanti/guardiani, Miss Lucy:

Il problema, a mio avviso, è che vi è stato detto e non detto. Vi è stato detto, ma nessuno di voi capisce veramente, e oserei dire, alcune persone sono abbastanza felici di lasciar perdere. Ma io non lo sono. Se avete intenzione di avere una vita decente, allora dovete conoscere e conoscere bene. (…..) Le vostre vite sono organizzate per voi. Diventerete adulti, poi prima di essere vecchi, prima ancora che diventiate di mezza età, inizierete a donare i vostri organi vitali. Questo è quello per cui ognuno di voi è stato creato. (…..) Siete stati portati al mondo per uno scopo, e il vostro futuro, per ognuno, è stato deciso. (‘Never Let me go’, 79-80)

Questo è il campo di un nuovo mito – il mito dell’autocostituzione dell’uomo – che ci racconta la narrazione dell’umanità che mira ad immergere tutto il suo bios nella sua etica, facendosi puramente razionale.

La verità di Miss Lucy e il suo tentativo di rivelare agli studenti clonati che vivono a Hailsham la loro vera natura, da cui non c’è fuga, parte dal presupposto che, contro ogni aspettativa, questi cloni non siano senza volto e senza nome, portando invece nomi, volti e personalità uniche. Sono l’Altro che richiede la rivelazione di Miss Lucy, che spiega il nostro desiderio dolorosamente nascosto che il loro futuro possa essere diverso, che Kathy e Tommy possano effettivamente ottenere un rinvio e vivere più a lungo. Ci si sente addirittura impazienti di fronte alla passività dei personaggi principali che obbediscono alle regole di Hailsham, per poi fare esattamente quello che ci si aspetta da loro nei Cottage, continuare come curanti e infine come donatori fino al completamento del loro ciclo. I confini stabiliti a Hailsham, che nessuno studente deve attraversare, definiscono i confini tra il mondo chiuso dei cloni e il mondo libero degli esseri umani che vivono là fuori. Nonostante tutti questi stretti confini, l’umanità dei cloni stessi emerge costantemente, come se, nonostante tutti gli sforzi per tenerli all’interno dei laboratori, del collegio, dei cottage, degli ospedali, finissero per essere visibilmente umani.

La narrazione di Miss Lucy rifiuta il silenzio e la negazione e, sebbene la sua storia sia scomoda per Kathy, Tom, Ruth e gli altri studenti che la ascoltano, la verità è che lo sapevano già, lo sapevano i loro corpi. La versione di Miss Lucy del loro mondo ristabilisce il presunto ordine rivelando la verità che non c’è futuro se non quello che si suppone debba essere.

Kathy, la narratrice di “Never let me go”, i cui occhi ci guidano nella trama, racconta una storia che non è solo una memoria, ma anche una narrazione da cui nasce un sé, contraddicendo così l’assunto logico che nel caso dei cloni il soggetto è già dato e non si può imparare nulla. Raccontando la sua vita di clone fugge in parte dalla Condizione dei cloni di isolamento, vuoto, ombre, instaurando il rapporto che deve sussistere ogni volta che c’è una narratrice e un ascoltatore. Kathy, la narratrice, ci fa guardare alla domanda del romanzo: cosa ci rende umani? Nel territorio della malattia e del caregiving la stessa domanda si pone ogni volta che si pone la questione del servizio sanitario disumanizzato e ogni volta che dobbiamo affrontare una malattia grave, cronica e/o mortale. La narrazione di Kathy rivela cosa succede quando gli individui sono mercificati e le loro storie vengono messe a tacere: tutto il futuro possibile viene tagliato e la speranza viene decostruita. Sottolinea anche l’infruttuoso tentativo di cancellare il sé di coloro che sono strumentalizzati, perché la loro umanità si spinge fuori dai confini imposti dalla scienza e dalla tecnologia. Solo i racconti di ricerca accettano la sofferenza e la usano, supponendo che qualcosa si impari attraverso questa esperienza (Frank, 2013: 115). I diversi tipi di narrazioni di malattia definiti da Arthur W. Frank in ‘The Wounded Storyteller’ – restituzione, caos e storie di ricerca – implicano diversi dispositivi di ascolto, includendo così l’ascoltatore nel quadro della storia, che è particolarmente importante se ricordiamo l’avvertimento di Arthur W. Frank che “sia le istituzioni che i singoli ascoltatori guidano le persone malate verso certe narrazioni, e altre narrazioni semplicemente non vengono ascoltate” (Frank, 2013:115).

“Never Let me Go” riguarda più il modo in cui inquadriamo le nostre narrazioni e quelle degli altri, piuttosto che la clonazione; riguarda più il modo in cui gli esseri umani cercano di allontanare la mortalità rendendo transitoria la malattia; si concentra maggiormente sulla caotica mancanza di coerenza quando la vulnerabilità, l’inutilità e l’impotenza dominano su di sé; si tratta più di avere una voce propria mentre si intraprende un viaggio che diventa una ricerca.

Il racconto di restituzione (restitution) promettono un atterraggio sicuro, e non integrano sofferenza e fallimenti inaspettati. Questa è la narrazione che sta alla base del programma di clonazione, essendo i cloni lo strumento che assicura che la mortalità sarà superata. Sotto la superficie della normalità, c’è il caos che è visibile nei capricci di Tommy, il grattare furioso di Miss Lucy su una pagina con una matita, la paura di Hailsham degli studenti di Madame, la consapevolezza della nostra incapacità di tenere Kathy, Ruth e Tommy insieme, per non lasciarli mai andare.

Il racconto della ricerca (quest) è la storia raccontata da Kathy, che racconta la propria storia e integra la sofferenza percependo la malattia come un viaggio, motivo presente in questo romanzo con il costante riferimento ai confini che non si devono attraversare. Kathy, Tommy e Ruth conoscono i limiti delle loro passeggiate tra Hailsham e i Cottages e, nonostante la loro libertà di fuggire, non infrangono le regole, essendo sempre in movimento e tornando sempre nello stesso luogo. In un mondo senza struttura familiare, i guardiani di Hailsham e la scuola stessa rappresentano il cordone ombelicale che dà inizio all’identità narrativa costruita da ciascuno dei protagonisti, principalmente da Kathy. Il luogo in cui si trovano e il luogo in cui noi, lettori, potremmo essere, sono per Kathy l’origine che spiega chi è ognuno di noi. Luogo e tempo si intersecano sulle strade che i personaggi sono ansiosi di esplorare, il che è tanto più ironico e significativo se si pensa che non vanno da nessuna parte.

Il viaggio nel Norfolk è il viaggio più importante, perché è sia un viaggio in avanti, alla ricerca del potenziale di Ruth, l’essere umano originale da cui è stata copiata, sia un viaggio all’indietro sulle ombre di Hailsham. Alla fine, il nastro di Kathy di Judi Bridgewater, Songs of Darkness, viene trovato, non recuperato, perché, a differenza dell’immagine sociale dei cloni come vasi vuoti, le cose che possiedono possono ancora mantenere la loro singolarità e il nastro trovato a Norfolk non è l’originale. La donna Kathy, Tommy e Ruth pensavano che il potenziale di Ruth non è quello che stavano cercando, così il viaggio a Norfolk cambia l’illusione di Hailsham di un possibile futuro: “In quel viaggio di ritorno a casa, con l’oscurità di quelle lunghe strade vuote, sembrava che noi tre eravamo di nuovo vicini e io non volevo che nulla venisse e rompesse quell’umore” (181). Ma l’umore è rotto e il loro programma è completato, dopo aver vissuto l’esperienza di essere caregiver e poi donatori.

Ciò che colpisce del periodo di caregiver, è il colpo di scena che Ishiguro introduce nella trama, perché la solitudine, impotente, la sensazione che uno dia all’altro una vita degna di essere vissuta, anche se solo per alcuni giorni o settimane, è comune a tutti i caregiver.  Se questi cloni condividono gli stessi sentimenti con altri caregiver, allora ecco la risposta alla domanda “Cos’è che ci rende umani?

La replica dei cloni con cui questo romanzo si confronta è già qui, non nei laboratori, non nel processo di clonazione vero e proprio, ma nei rapporti impersonali e scientifici medico-paziente, così come nelle richieste imposte ai caregiver come se fossero spersonificati. I ponti, che le capacità narrative permettono tra “medico e paziente o infermiere e paziente, sono riecheggiati e ricapitolati nelle relazioni collegiali tra medico e infermiere e nella più ampia comunione riflessiva tra i pazienti nel loro quartiere e gli operatori sanitari che li servono” (Charon, 2006: 229).  C’è quindi una rete di relazioni che migliorano con l’attenzione all’individuo e al singolo, invece di concentrarsi sulla statistica e sull’universale” (Charon, 2006: 229).

La storia di Ishiguro ci mette in guardia contro la perdita di individualità e singolarità in un mondo costruito, che risuona significativamente nel territorio del caregiving.  La rete di storie, di cui questo romanzo fa parte, dovrebbe essere preservata, in modo da offrire una speranza radicale a chi soffre e a chi si prende cura di sé.

Susana Teixeira Magalhães

 

Riferimenti

ARENDT, Hannah. 1958. The Human Condition. Chicago: University of Chicago Press.

HABERMAS, J. 2003. The Future of Human Nature, W. Rehg, M. Pensky, and H. Beister (trans.). Cambridge: Polity.

CHARON, R. 2006. Narrative Medicine: Honouring the stories of illness. Oxoford: Oxford University Press.

FRANK, A. 2013. The Wounded Storyteller. Chicago and London: The University of Chicago Press

ISHIGURO, K. 2005. Never Let Me Go. London: Faber and Faber.

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