La medicina narrativa tra il silenziato desiderio di benessere e l’abuso della parola normalità

“Pensai di documentarmi su Internet per essere consapevole di ciò che avrei dovuto affrontare e “decisi di vivere nella “normalità” e cercare soluzioni presso altri centri”
“Mi sento normale e di poter essere autonomo
“Il mio corpo e le mie sensazioni sono normali”
Ora mi sento normale”
“Le cure siano state importantissime per tenere i disagi lontani e tenere una vita normale”
“La malattia oggi è quasi scomparsa. Il mio corpo e le mie sensazioni sono abbastanza normali
“Mi sento relativamente bene e conduco una vita tranquilla e normale”
“Come si è sentito nel poter raccontare la sua esperienza ? normale”
“Nel momento in cui mi comunicarono che avevo la mielofibrosi io mi sentii normale”
“Mi sento quasi normale”
“Mi sento normale e di poter continuare a lavorare”
“Il Pediatra mi diceva che mio figlio era normale”
“Mi aspetto per mia figlia una vita normale come tutti gli altri coetanei”
“Immagino un futuro normale”
“L’aspetto positivo è che è cresciuto, non sarà mai un gigante, se non altro è normale”

Testimonianze scritte da pazienti e genitori nelle narrazioni negli anni 2013 – 2014

Normalità medicina narrativa

 

Incipit
Nella Nascita della Clinica, Foucault opera una disamina critica dell’ambiente ospedaliero, o meglio di qualsiasi forma di ricovero e istituzionalizzazione, e analizza quando è avvenuto il passaggio storico, quantomeno in Francia, dalla gestione da parte di religiosi degli ospedali, che nei secoli avevano assunto lo scopo principale di isolare i malati infetti e che poi, dopo la rivoluzione, diventeranno luoghi di produzione scientifica, economica e sociale, amministrati da laici.

Scrive così Foucault rispetto a come potrebbe e dovrebbe essere una medicina attenta ai suoi malati: “Le lieu naturale de la maladie c’est le lieu naturale de la vie: la famille”, assumendo una posizione a favore delle cure domiciliari, e aggiungeobserver le malades, aider la nature sans lui faire violence”; senza fare violenza al malato. L’ospedale rappresenta un luogo dove si può perpetrare violenza più o meno sottile al paziente. E’ infatti, proprio sul finire del XVIII secolo che si origina il dilemma ancora attuale tra curare a casa, nel luogo familiare, rispetto a curare in ospedale o in altre strutture residenziali I francesi della rivoluzione assegnavano allo stato la responsabilità di crescere una popolazione normale, di pari diritti, doveri e reddito. In questo contesto, le cure in ospedale verranno quindi fornite solo ai poveri, agli emarginati, a coloro che non hanno un sostegno familiare: la restante parte, in una società funzionante dovrà essere curata a casa.
Ma il paradigma di fondo che Foucault sottolinea e che viene lanciato dagli intellettuali della rivoluzione è la scomparsa della precedente diade, la scissione tra la malattia e il suo opposto, il benessere, bensì tra la malattia per far vedere la luce a un nuovo opposto, il malessere verso NORMALITA’ al posto del benessere. Come se l’egalitè non potesse spingersi oltre il presupposto di Normalità: il benessere sarà ripreso solo con la dichiarazione di salute del 1948 della WHO, ma è ancora così attuale la parola NORMALE, che rientra d’abitudine nelle cartelle cliniche, nei testi medici, nel linguaggio dei medici e degli operatori. Difatti se il paziente sta bene la parola con cui si liquida la situazione è “il paziente è normale”, “normodotato”, “normalmente alto” e “i globuli rossi sono rientrati nella norma“.
E’ questa la grandezza di Foucault, passato più nella storia del pensiero dell’umanizzazione delle cure come l’acuto osservatore del regard medical, dello sguardo medico, quello sguardo distaccato che permette al clinico di operare le sue classificazioni, sempre più prolifiche e generate da una continua ricerca che definisce, etichetta, scopre nuove patologie, dove il corpo è una scatola che contiene segni e sintomi dei pazienti, non è più nemmeno un organismo vivente nella sua interezza. La grandezza sottaciuta di Foucault è quella di avere sottolineato questo spostamento d’asse, una volta molto più ampio e di massima potenza nel periodo dell’umanesimo, prima del periodo illuminista e positivista, questo vettore che andava dalla malattia (dal latino male aptus, male adatto) al ben-essere, in un luogo naturale, senza violenze, forzature e lontano dalla perdita di identità in un luogo spersonalizzante, senza memoria come l’ospedale o un istituto di ricovero, soprattutto quelli a lunga durata come oggi la gran parte delle Residenze Assistenziali per Anziani. Vero è che la vita si è allungata proprio nel XX secolo, le famiglie hanno e stanno continuamente cambiando i connotati e quindi storicamente è difficile spostare nel qui e ora quel pensiero di benessere e di guarigione dell’umanesimo: le malattie acute di allora non sono le malattie cronicizzate del nostro tempo.

In itinere
La Normalità, così come la conosciamo, è un concetto che incontriamo anche nei liberisti come Adam Smith: il paziente sarà sottoposto a un processo di produzione industriale, in una fabbrica di salute, lontano anche dai possibili rischi dei ciarlatani di paese, o perlomeno ritenuti tali dagli uomini di scienza delle accademie, volto a ristabilire la norma.

Per comprendere come si trasforma la cura dalla casa in ospedale possiamo avvalerci di Adam Smith e dal suo celeberrimo esempio dello spillo: “Prendiamo dunque un esempio in una manifattura di poco conto … quella, cioè, dello spillettaio; un operaio non educato in questa manifattura… non preparato all’uso del macchinario realizzato per questo…  può a fatica, forse, con la sua laboriosità, produrre uno spillo al giorno, e di certo non può produrne 20. Dato il modo in cui viene svolto oggi questo compito, non solo tale lavoro nel suo complesso è divenuto mestiere particolare, diviso in un certo numero di specialità, la maggior parte delle quali sono anch’esse mestieri particolari. Un uomo trafila in metallo, un altro raddrizza il filo, il terzo lo taglia, un quarto gli fa la punta, un quinto lo schiaccia l’estremità dove deve inserirsi la capocchia; fare la capocchia richiede due o tre operazioni distinte; inserirle in attività distinta, pulire gli spilli è un’altra, e persino il metterli nella carta un’altra occupazione se stante, sicché l’importante attività di fabbricare uno spillo viene divisa, in tal modo in circa 18 distinte operazioni che, in alcune manifatture, sono tutte compiute da mani diverse, sebbene si diano casi in cui la stessa persona ne compie due o tre. Io ho visto una piccola manifattura di questo tipo dove erano impiegati solo 10 uomini, e dove alcuni di essi di conseguenza compivano due o tre distinte operazioni. … potevano, quando si impegnavano a vicenda, fare all’incirca dodici libbre di spilli in un giorno. Una libbra contiene più di mille spilli di grandezza media. Quelle 10 persone, quindi, riuscivano a fare più di 40.000 spilli al giorno. Ciascuno di loro 10 dunque, facendo una decima parte di 48000 spilli, può essere considerato come se ne fabbricasse 4800 in un giorno. Se invece avessero lavorato tutti separatamente e indipendentemente senza che alcuno di loro fosse stato previamente addestrato a questo compito particolare, non avrebbero certamente potuto fabbricare neanche 20 spilli al giorno per ciascuno, forse neanche un solo spillo al giorno; ….La divisione del lavoro, comunque, nella misura in cui può essere introdotta, determina in ogni mestiere un aumento proporzionale delle capacità produttive del lavoro“.
Foucault scrive: “La medecine de la perception individuelle- il soggettivo- de l’assistence familiale, des soins a domicile, ne peut trouver appui que sur une structure collectivement controlle, et qui recouvre l’espace social en son entier”. Eccolo il passaggio epocale, per cui dalle cure a casa si passa alle cure in una fabbrica di salute, dove la produzione industriale della sanità si può controllare in modo collettivo, e il rischio che permane ancora oggi è quello per un paziente di diventare lo spillo industrializzato, standardizzato, nella norma di Smith.
Insomma, analogie tra l’industria ospedaliera e la fabbrica manifatturiera, colorati in Franca e poi, per diffusione, nei paesi occidentali, dagli ideali libertè, egalitè, fraternitè, le parole forti che hanno ispirato la rivoluzione: il rovescio della medaglia è l’auspicio verso nessuna eccellenza, nessuna persona “bene-stante”, quasi come se si volesse auspicare anche una equa ripartizione delle malattie per tutta la popolazione. La personalizzazione delle cure in questo contesto è una chimera inaccettabile.
Le generalizzazioni imperversano e, come ineluttabilmente accade, appiattiscono: il linguaggio si riempirà di quantificatori universali basati su principi ideologici: è curioso osservare come, sia l’approccio liberista dello Smith come quello equalitario dei medici illuministi, convergano entrambi verso il principio di standard- di normalità. La differenza infatti non sarà tanto nel prodotto “salute “ o “spillo” che sia , quanto nel concetto di profitto: il non profit rivoluzionario non concede che nessuno si possa arricchire, mentre diverso è lo scopo del liberismo economico.

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Perché questa dissertazione su normalità e benessere? Leggendo le molteplici narrazioni di pazienti che ci hanno lasciato e ci continuano a lasciare le loro testimonianze, portatori e portatrici di personali condizioni di perdita di salute, o di disabilità, una delle parole più ricorrenti utilizzate per descrivere come si sentono quando stanno un po’ meglio, o per descrivere le proprie relazioni in famiglia, con i propri cari, o nel mondo del lavoro è, “NORMALE” o, con una punta di giudizio, “ADEGUATO”. Solo una minoranza ha il coraggio di scrivere mi sento bene, a mio agio, sereno, sono contento, ora è perfetto: più frequentemente manifestano contentezza dell’esperienza dello scrivere, ma quand’anche in condizioni in cui la malattia è sotto controllo, dichiarano di Sentirsi Normali, di Avere Normali Relazioni con la Famiglia e sul Lavoro tutto era Normale.
L’etimo di Normale deriva da Norma, che risulta essere la regola, la legge. I latini chiamavano Norma la squadra per misurare gli angoli retti, uno strumento per gli agrimensori: interessante anche che l’aggettivo “retto” significhi adeguato, così come vi è una retta via da prendere, mentre le e altre collaterali portano alla dispersione.

Sequitur
Che Normale sia diventata una parola schermante è evidente: dietro la parola normale c’è una compresenza di benessere, malessere, assenza di coraggio, tranquillità, ma c’è anche una lettura antropologica, forse eredità di quel contagio rivoluzionario dei principi di eguaglianza: si deve essere statisticamente dentro la Gaussiana, senza sbandierare le emozioni, con una maschera di accettazione sociale sopra tutto, a maggior ragione in possibili luoghi di disagio come gli ospedali e gli istituti di ricovero. Si fa molta ironia sulla libera espressione dei sentimenti, mentre la medicina narrativa è uno strumento che permette di onorare e accogliere le emozioni e sentimenti, sia di gioia che di dolore, eppure molte sono le censure che le persone spesso si dando scrivendo.

Hanno iniziato a lasciarsi andare nello scrivere, sia sui social media che sulla carta, ma ancora molti passi aventi deve compiere la nostra società per comprendere e accogliere e studiare la grammatica emozionale. Freud scriveva nel “Disagio della Civiltà”: “La libertà non è un beneficio della cultura: era più grande prima di qualsiasi cultura, e ha subito restrizioni con l’evolversi della civiltà“. E questo in modo lineare attraverso i secoli, sino al tempo attuale, vi è stata una costante contrazione dello spazio di libertà pulsionale, di espressione di sé.
Foucault analizza i movimenti clinici tra il XVIII e il XIX secolo della vecchiaia della clinica, la Vielliesse de la clinique, e studia la rinascita della nuova clinica, scienza che incasella le malattie in una “ struttura alfabetica”. L’equazione medica da soddisfare è: così come il linguaggio è formato da lettere, che si assemblano in parole che assumono senso e significato nella comunicazione, anche il corpo è un portatore di lettere- quei segni e sintomi- devono essere codificati in una grammatica che ne permette la comprensione. Per fare ciò è necessario aver e un luogo di raccolta di queste parole, un Dizionario, e tale punto di incontro è l’ospedale, unico spazio di raccolta dei pazienti, da cui i medici possono imparare da libri non più solo cartacei, ma vivi o morti che siano, i corpi dei malati. E sotto questa lettura indifferenziata, che passa da corpo a corpo, che non prende in considerazione pathos e psyche, attraverso una pulsione quasi coatta del medico a classificare ciò che si vede, il paziente giungerà a confinare le sue dichiarazioni possibili di desiderio, dei suoi istinti, e per dirla alla Freud, sarà privato dei suoi desideri, e affermerà che una volta guarito, o stabilizzato sarà normale, non più portatore di quelle anomalie che costruiscono la grammatica clinica, la ratio per cui un paziente è stato ricoverato. Sarà uno spillo nella norma, non uno scarto di produzione. Addio percezione individuale, soggettività, e quindi diversità. Addio rispetto della persona singola. Eccolo il Disagio della Civiltà su cui Freud si è esposto, assieme a Jung e alla Maschera sociale: per essere accettati socialmente bisogna essere e apparire Normali.

Clausa
D’altro canto, questo senso di normalità è tranquillizzante, per cui vi è un altro significato che possiamo ascrivere alla parola: tutto bene, nell’ordinario, nel regime quotidiano, la natura fluisce con le sue norme, e nessun evento straordinario è previsto. La medicina narrativa che potrebbe fare da cassa di risonanza “delle virtù e delle sciagure umane” rischia di appiattirsi in un luogo di tonalità di mezzo, perdendo le coloriture forti. Questo accade quando leggiamo frasi di pazienti con la sclerosi multipla, o dimagriti dopo un bypass gastrico, affetti da una patologia tumorale del sangue: ora la mia vita è normale. E’ opportuno sapere che l’uso di questa parola che si sostituisce ad un’altra forse più ambiziosa, che si connota di tonalità positive, è figlia di un processo continuo di standardizzazione. Per riportare un dato numerico, su narrazioni di 210 pazienti affetti da una malattia rara, le parole “normale”, “norma” “normalità”, “adeguato” e “adeguata” compaiono nel 66% delle storie raccolte.
Ieri, però c’è stata la storia fuori dalla Gaussiana: una giovane paziente, guarita dal morbo di Basedow ha scritto questa sua testimonianza: ora la mia vita è perfetta.

Maria Giulia Marini

Epidemiologa e counselor - Direttore Scientifico e dell'Innovazione dell'Area Sanità e Salute di Fondazione Istud. 30 anni di esperienza professionale nel settore Health Care. Studi classici e Art Therapist Coach, specialità in Farmacologia, laurea in Chimica e Tecnologie Farmaceutiche. Ha sviluppato i primi anni della sua carriera presso aziende multinazionali in contesti internazionali, ha lavorato nella ricerca medica e successivamente si è occupata di consulenza organizzativa e sociale e formazione nell’Health Care. Fa parte del Board della Società Italiana di Medicina Narrativa, Insegna all'Università La Sapienza a Roma, Medicina narrativa e insegna Medical Humanities in diverse università nazionali e internazionali. Ha messo a punto una metodologia innovativa e scientifica per effettuare la medicina narrativa. Nel 2016 è Revisore per la World Health Organization per i metodi narrativi nella Sanità Pubblica. E’ autore del volume “Narrative medicine: Bridging the gap between Evidence Based care and Medical Humanities” per Springer, di "The languages of care in narrative medicine" nel 2018 e di pubblicazioni internazionali sulla Medicina Narrativa. Ha pubblicato nel 2020 la voce Medicina Narrativa per l'Enciclopedia Treccani e la voce Empatia nel capitolo Neuroscienze per la Treccani. E' presidente dal 2020 di EUNAMES- European Narrative Medicine Society. E’ conferenziere in diversi contesti nazionali e internazionali accademici e istituzionali.

Questo articolo ha un commento

  1. Dino latella

    Forse il meccanismo che scatta alla scoperta di essere un malato e’ quella di sentirsi un diverso, di avere uno status non piu comune. Infatti si entra in una nuova categoria, quella del malato, a cui non si vorrebbe mai appartenere e alla quale, fin tanto che si e’ bene-stanti, si guarda con malcelato terrore.

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