Ahmadreza Djalali, medico iraniano e ricercatore all’Università del Piemonte Orientale, condannato a morte

Il dottor Ahmadreza Djalali
Il dottor Ahmadreza Djalali

Ahmadreza Djalali è un iraniano di 45, sposato e padre di due bambini. Ѐ un medico stimato, un ricercatore nell’ambito della medicina dei disastri. Ha lavorato presso il CRIMEDIM, centro di ricerca in medicina dei disastri dell’Università del Piemonte Orientale. Da aprile 2016, mentre era in visita in Iran invitato dall’Università, è stato arrestato ed è detenuto nel carcere di Evin a Teheran. Gli è stato negato il diritto di essere difeso da un avvocato. A dicembre ha iniziato uno sciopero della fame che ha aggravato le sue condizioni di salute.

Obbligato a firmare una confessione dal contenuto ignoto, sulla testa di Ahmadreza pende la condanna alla pena capitale con l’accusa di essere una spia e di aver collaborato con stati nemici. La comunità scientifica non accetta le accuse e ritiene che l’unica sua “colpa” possa essere quella di aver collaborato con ricercatori di Stati considerati nemici nel corso della sua attività scientifica.

Tra le varie iniziative partite per difendere il ricercatore iraniano, un’importante petizione online, che invitiamo i nostri lettori a firmare.

Matteo Nunner

Laureato in Lettere all'Università del Piemonte Orientale, si sta specializzando in Scienze Antropologiche ed Etnologiche all'Università di Milano-Bicocca. Giornalista e scrittore vercellese, ha collaborato con molte testate locali e nel 2015 ha pubblicato il romanzo d'esordio "Qui non arriva la pioggia". Nel 2017 ha poi pubblicato "Il peccato armeno, ovvero la binarietà del male".

Questo articolo ha un commento

  1. luigi olivetto

    No, non conosco Ahmad.
    Ma conosco i medici che lo sostengono, il loro valore e i loro valori, li stimo e ne ho fiducia.
    E ammiro il loro impegno in suo favore, e volendo bene a loro voglio bene anche a lui.
    Semplice.
    Anche perché ricordo bene quand’ero studente (erano gli anni ’80) e avverto ancora la tristezza e l’inquietudine di quegli amici, anch’essi studenti – iraniani, irakeni, palestinesi inviati da famiglie benestanti sì, ma dolorosamente lontane – ad apprendere la scienza occidentale e l’arte medica per poi trasporla in patria.
    Colti all’improvviso da sommosse e guerre (non so dire se giuste ma certo brutali) – la rivoluzione khomeinista, la guerra Irak-Iran, i mai sopiti conflitti israelo-palestinesi – che tolsero loro ogni possibilità di riabbracciare i propri cari.
    Scardinati, scorticati, costretti a studiare e a vivere sospesi in esilio la morte di un padre, una madre, un fratello per guerra, malattia o infarto, preclusi al ritorno,
    Guerre così cattive da riuscire a scavare anche tra di loro una amara diffidenza, che cercavo di alleviare con una malinconica intima vicinanza.
    No, non conosco Ahmad, e non so nulla delle accuse che gli vengono mosse, reali o fittizie che siano.
    Ma so di quello che ti spinge a fare il medico, che ti chiede di essere migliore non per te ma per gli altri.
    E quindi sto con lui e con i colleghi che lo difendono.
    Luigi
    *****
    ‘Perché coloro che hanno creduto e sono emigrati e hanno combattuto sulla via di Dio (Allah) mettendo a disposizione i propri beni e rischiando la loro vita sono di un grado più alti agli occhi del Signore: a loro è arriso il successo supremo. Dio (Allah) annuncia loro misericordia e considerazione e promette i giardini dove godranno un piacere eterno e dove rimarranno per sempre; in realtà presso Dio (Allah) c’è una ricompensa che non avrà mai fine (Corano IX, 20-21)

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